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21-01-2022

AGENTI E RAPPRESENTANTI: MODIFICHE ABUSIVE AL CONTRATTO

In questo articolo vedremo quando le modifiche unilaterali al contratto di agenzia fatte dalla mandante possano dirsi abusive.

La categoria delle modifiche unilaterali abusive è di creazione giurisprudenziale. Pertanto, l’effettiva individuazione dei confini della fattispecie è piuttosto difficile.

Possiamo avvicinarci al problema partendo dal fatto concreto: si può fare questione di modifica abusiva quando la variazione unilaterale degli elementi del contratto, pur appoggiandosi su una clausola individuale o collettiva che consenta alla mandante la variazione, sia di entità o caratteristiche tali da alterare completamente l’equilibrio del rapporto.

E’ un problema centrato sul principio di vincolatività dei contratti. Da una parte sta la clausola che autorizza la mandante alla modifica unilaterale degli elementi del contratto di agenzia che, siccome pattuita e voluta da entrambe le parti, appare pienamente efficace. Dall’altra parte stanno gli effetti concreti dell’applicazione della clausola. Il contratto di agenzia ne risulta svuotato di contenuto. Il contratto, quindi, perde la forza di determinare il contenuto del rapporto; forza che transita, per così dire, dalla comune volontà delle parti consacrata in contratto alla volontà unilaterale della mandante.

Qualche esempio chiarirà la questione.

Nel caso deciso da Cassazione 4504/1997, in forza di clausola contrattuale, la mandante aveva ridotto unilateralmente la zona dell’agente progressivamente qualificando come direzionali tutti i clienti originariamente affidati in esclusiva.

Nel caso deciso da Cassazione 5467/2000, in forza di clausola contrattuale, la mandante aveva ridotto la zona dell’agente dall’originario intero territorio nazionale al solo comune di Milano, tagliando inoltre la percentuale provvigionale.

I due casi sono identici e sono stati decisi entrambi in favore dell’agente. Purtuttavia il rimedio applicato dalla giurisprudenza è radicalmente diverso.

Nel primo caso è stata dichiarata la nullità della clausola. La contraddizione tra clausola e contratto viene quindi risolta eliminando uno dei termini del problema.

Nel secondo caso, al contrario, è stato dichiarato che la mandante ha esercitato il potere di modifica unilaterale fuori dei limiti dettati dal principio di correttezza e buona fede. La condotta della preponente viene espressamente qualificata come abuso del potere, perché esercitato “non per adeguare il contratto alle nuove esigenze determinate dal decorso del tempo, ma per impedire all’agente una attività che giustificasse il suo impegno”. Sono fatti salvi entrambi i termini del problema, clausola e contratto, trovando un punto di equilibrio tra i due.

La sentenza 5467/2000 è determinante per due ragioni:

  1. riconosce espressamente che “il contratto di agenzia dà luogo ad un contratto di durata e che le parti possono prevedere la possibilità di modificare le clausole contrattuali allo scopo di meglio adeguare il rapporto in relazione alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il decorso del tempo”.
  2. riconosce però come sia: “necessario tuttavia che il potere unilaterale di modifica così concesso abbia dei limiti in modo da non escludere la forza vincolante del contratto nei confronti di una delle parti contraenti; ed è anche necessario che il potere così delimitato sia esercitato dal titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede”.

Questa impostazione è stata recepita anche dalle parti collettive che, a partire dagli Accordi Economici e Collettivi del 2002, hanno riconosciuto il potere della mandante di modificare unilateralmente gli elementi del contratto. Ai sensi degli AEC, qualora l’introdotta modifica comporti poi una riduzione delle provvigioni superiore al 20%, l’agente entro 30 giorni può opporre il rifiuto, con l’effetto di trasformare la comunicazione di variazione in un ordinario recesso con preavviso ad iniziativa della mandante.

La novità di fonte collettiva ha segnato lo sviluppo della successiva giurisprudenza.

Nel caso deciso da Cassazione 13580/2015, in applicazione della clausola dell’accordo collettiva collettivo, la casa preponente aveva disposto la riduzione unilaterale della provvigione nella misura dell’88% rispetto a quanto riconosciuto in precedenza. A tale iniziativa della mandante, l’agente aveva reagito con un recesso in tronco per giusta causa che la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto fondato.

Ricorrendo per Cassazione, la preponente ha sostenuto che, sebbene fosse vero che la disposta variazione provvigionale fosse pari all’88%, e quindi di gran lunga superiore al 20% stabilito dagli accordi collettivi, comunque la variazione fosse stata adottata sulla base di un legittimo potere contrattuale. Costituendo esercizio di un diritto, la disposta variazione non potrebbe qualificarsi come inadempimento contrattuale e, conseguentemente, non potrebbe sostenere il recesso per giusta causa da parte dell’agente. Secondo tale ipotesi, l’agente avrebbe solamente potuto opporre il rifiuto alla variazione, così trasformandola in un ordinario recesso con preavviso per iniziativa della mandante.

Come si vede, è l’identico caso già deciso da Cassazione 5467/2000, con l’unica differenza che in questo caso la clausola autorizzativa alla modifica è di fonte collettiva e non più individuale.

Ed infatti, identica è stata la soluzione adottata da Cassazione 13580/2000: “la clausola invocata dalla società ricorrente, se applicata anche a variazioni manifestamente eccessive delle condizioni contrattuali, tali da risultare di fatto inaccettabili, finirebbe con l’alterare la causa stessa del contratto di agenzia, ponendo l’agente nell’oggettiva impossibilità di proseguire il rapporto anche soltanto in via provvisoria. E rendere all’agente di fatto impossibile accettare, anche soltanto in via provvisoria, tale variazione preclude la funzionalità stessa della clausola collettiva nella parte in cui stabilisce che la comunicazione di variazione decisa dal preponente costituisce, in caso di non accettazione dell’agente, preavviso di cessazione del rapporto di agenzia a iniziativa della casa mandante. In breve, interpretare la clausola collettiva nel senso sostenuto dalla mandante anche a fronte di una riduzione addirittura dell’88% del portafogli clienti implicherebbe la possibilità di ammettere un sostanziale recesso immediato ad opera della preponente (senza onere di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso) mascherato sotto le apparenti forme d’una mera variazione dell’altrui portafoglio clienti, il tutto in violazione dei principi generali di correttezza e buona fede di cui agli art.li 1175 e 1375 c.c. (perché ribalterebbe sull’agente le conseguenze negative di un recesso immediato sostanzialmente manifestato dalla casa mandante), oltre che in sostanziale alterazione della causa stessa del contratto di agenzia”.

Va peraltro segnalata che questa soluzione risulta oggi utilizzabile solo nell’ambito di applicazione degli AEC industria, perché per gli AEC del Commercio, già dal 2009, è stata aggiunta alla clausola collettiva la previsione per cui in luogo del preavviso per la decorrenza della variazione può essere pagata all’agente la corrispettiva indennità sostitutiva. Tale previsione espressa comporta la pacifica natura obbligatoria e non reale del diritto dell’agente al preavviso. In tale situazione non è quindi più vero che l’agente sia posto “nell’oggettiva impossibilità di proseguire il rapporto anche soltanto in via provvisoria”. Invero, ricevuta la riduzione della provvigione nella misura dell’88%, pur con effetto immediato, l’agente potrebbe limitarsi a comunicare il rifiuto e proseguire l’attività sino alla scadenza del preavviso guadagnando le provvigioni ridotte, compensate però dall’indennità sostitutiva del preavviso per il mancato rispetto della decorrenza della variazione, in misura pari alle provvigioni in precedenza godute. Non è più quindi su questo piano che può essere individuata la violazione della correttezza e della buona fede contrattuale. E’ invece la completa alterazione dell’originario equilibrio contrattuale che merita di essere valorizzata.

Sebbene sia la contrattazione collettiva che la giurisprudenza ammettano pacificamente una certa plasticità dell’oggetto del contratto, che può essere plasmato unilateralmente dalla casa mandante per adattarlo alle mutevoli e mutate esigenze dei traffici, questo potere non si può spingere fino al punto di sovvertire radicalmente l’assetto fondamentale del contratto, ponendosi così in aperto contrasto col fondamentale principio della sua forza cogente, su cui ciascun contraente ha fatto ragionevole affidamento per l’organizzazione della propria attività.

Il problema è dunque di quantità o qualità e, per quanto si possano ricercare principi guida, può essere risolto solo sul terreno della fattispecie concreta.

Un ultimo esempio potrà forse aiutare.

Cassazione 96164/2021 ha riconosciuto abusiva la modifica disposta dalla casa mandante che, con provvedimento unilaterale, ha revocato all’agente l’intero portafoglio clienti, affidandogli il compito di promuovere affari solo con la nuova clientela.

In questo caso, valorizzata la natura continuativa degli affari oggetto del contratto di agenzia ed il correlativo impegno dell’agente per il mantenimento del portafoglio clienti, la disposta variazione è stata ritenuta abusiva avendo costretto l’agente “a rimodulare completamente la sua attività di impresa, focalizzandola esclusivamente sull’attività di acquisizione di nuova clientela”.

Dalla casistica nota si può concludere che sono abusive le modifiche unilaterali disposte dalla casa mandante alla zona, ai prodotti, alla clientela o alle provvigioni quando, sulla base di un dato quantitativo o qualitativo, la variazione non si limiti a modificare l’oggetto sostanziale del contratto, ma lo sostituisca con uno di diverso contenuto.

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