BLOG

29-01-2022

LA CONCORRENZA SLEALE DELL'AGENTE DI COMMERCIO

In questo articolo esamineremo la concorrenza sleale realizzata dall’agente di commercio a danno della casa preponente.

Si tratta di una fattispecie di residuale applicazione. La concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c. presuppone infatti necessariamente, per la sua sussistenza, il cosiddetto rapporto di concorrenzialità. E’ cioè necessario che l’atto di concorrenza sleale si realizzi tra due imprenditori operati allo stesso livello del mercato. L’agente, per contro, in quanto ausiliario dell’impresa si pone, rispetto a questa, ad un diverso livello di mercato. Egli cioè non è in grado di muovere direttamente concorrenza al preponente.

Questo fatto è stato da sempre riconosciuto dalla giurisprudenza.

Solo ad esempio, di seguito alcune massime rilevanti.

Per il caso di condotta illecita del preponente CC 1965-136: “nel caso del contratto di agenzia, il preponente e l’agente non possono considerarsi imprenditori concorrenti, non essendo essi titolari di aziende che si pongano in posizione competitiva nell’ambito mercantile, sì che l’una, volgendo a proprio favore la gara, possa incrementarsi in pregiudizio dell’altra. Pertanto, nel caso della condotta illecita del preponente, il quale si serva abusivamente dell’occulta intermediazione di altra persona per smerciare i propri prodotti nella zona riservata all’agente, così comprimendo la sua sfera di attività e danneggiandolo economicamente, ben può quest’ultimo fare valere i propri diritti verso il preponente mediante l’azione contrattuale, ma giammai attraverso l’esperimento dell’azione di concorrenza sleale, una volta che tra i due soggetti non è ipotizzabile un rapporto concorrenziale”.

Nello stesso senso CC 1967-1662: “La norma dell’art. 2598 c.c., sul divieto degli atti di concorrenza sleale non trova applicazione nel contratto di agenzia, per quanto riguarda i rapporti tra preponente e agente, perché tali rapporti hanno la loro completa disciplina negli articoli 1742 e seguenti cod. civ. e di concorrenza si può parlare tra due soggetti che agiscono autonomamente in uno stesso settore di attività produttiva e non tra soggetti legati tra loro da una espressa convenzione che rende le due attività complementari una dell’altra secondo una precisa disciplina contrattuale prevista dalla legge, nell’ambito della quale deve ricondurre l’eventuale vincolazione dei reciproci diritti e doveri”.

Per quanto non manifesto nelle massime, i casi sopra esaminati riguardavano fatti avvenuti durante la vigenza del contratto di agenzia. In tale ipotesi, la giurisprudenza è stata categorica nell’escludere la fattispecie di concorrenza sleale, dovendosi i fatti concorrenziali esaminare entro l’alveo del rapporto contrattuale di agenzia.

La logica interna di questi arresti si può espandere come segue: neppure dopo lo scioglimento del contratto di agenzia potrà darsi concorrenza sleale tra agente e preponente, almeno fino a quando il primo non dovesse farsi in proprio imprenditore al pari del secondo, egli cominci cioè a vendere in proprio gli stessi prodotti trattati dal preponente. Solo a questo punto, infatti, l’agente acquisterebbe la qualifica soggettiva necessaria per la sussistenza astratta della fattispecie di concorrenza sleale.

Ciò non significa peraltro che l’agente sia sempre e comunque estraneo alla fattispecie di concorrenza sleale.  Ma anche qui, in linea con la sua natura di collaboratore dell’impresa, egli potrà solo partecipare all’illecito proprio di imprenditore che si trovi invece in rapporto di concorrenzialità diretta con il preponente dell’agente.

Il ragionamento può essere introdotto dalla massima tratta da CC 2001-5375: “la giurisprudenza di questa corte da tempo ha chiarito che la concorrenza sleale è fattispecie tipica dei soggetti del mercato in concorrenza, perciò essa non è configurabile laddove manchi un tal presupposto soggettivo.

La stessa giurisprudenza tuttavia ha chiarito che può configurarsi l'illecito in questione quando l'atto lesivo del diritto del concorrente viene compiuto da un soggetto, cosiddetto terzo interposto, che benché non possegga egli stesso il requisito in questione giacché non è concorrente del danneggiato, agisce tuttavia per conto ovvero perché è collegato con un concorrente ed è legittimato, ciò che essenzialmente conta, a porre in essere atti che ne cagionano il vantaggio. In tal caso il soggetto terzo è solidalmente responsabile con l'imprenditore che si è giovato della sua condotta, (cfr. sul punto Cass. n. 2018 del 1985, 2634 del 1983). Peraltro quanto manca siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e le imprese concorrenti del danneggiato, il terzo stesso risponde ai sensi dell'art. 2043 c.c. e non ai sensi del predetto art. 2598 c.c., il quale esprime un parallelo sistema di responsabilità, che come la migliore dottrina rammenta, codifica un non frequente caso di responsabilità per danni meramente economici ossia non derivanti dalla lesione di un interesse autonomamente protetto. Differenza di non poco conto, giacché, tra l'altro, solo la fattispecie di cui all'art. 2598 c.c., in base allo art. 2600 c.c., consente di presumere la colpa, in armonia con la tendenza oggettivistica della materia e liberando per quanto possibile il giudizio dell'accertamento degli elementi psicologici in capo all'agente. Invece quella di cui all'art. 2043 c.c. richiede la prova di ciascuno degli elementi che ne costituiscono la struttura, compresa tra questi la ingiustizia del danno, dalla quale la norma dell'art. 2598 c.c. prescinde”.

Come si vede, resta pienamente confermata l’impostazione originaria: considerando che l’agente opera ad un diverso livello di mercato rispetto al preponente, non è mai configurabile direttamente tra questi due soggetti il rapporto di concorrenzialità e, conseguentemente, non si può realizzare la fattispecie di concorrenza sleale. E’ però possibile che l’agente concorra nell’illecito di altro imprenditore, questo sì in diretta concorrenza con il preponente.

Ovviamente, trattandosi di illecito proprio dell’imprenditore sleale cui l’agente può solo partecipare, il rapporto gestorio tra l’agente e l’imprenditore sleale diventa elemento della fattispecie. Senza quel collegamento, infatti, l’agente non può attingere alla qualifica soggettiva richiesta dal rapporto di concorrenzialità.

L’agente risponde quindi di concorrenza sleale solo in quanto collaboratore di altro imprenditore nel compimento materiale dell’illecito. E in questo rapporto gestorio rovesciato, in significativo rispecchiamento col rapporto gestorio che è il tratto essenziale dell’agenzia commerciale, si ritrova l’elemento qualificante della concorrenza sleale dell’agente di commercio.

Si pone a questo punto la domanda più significativa. Quale sia la condotta materiale dell’agente che possa astrattamente integrare, in necessario collegamento con altro imprenditore, la fattispecie di concorrenza sleale.  Sotto questo profilo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire quanto segue: “i vantaggi, in termini di avviamento e clientela - ancorché derivino dall'attività promozionale svolta dall'agente - restano, tuttavia, acquisiti al committente - anche dopo l'estinzione del rapporto di agenzia - come bene appartenente alla sua azienda, tutelabile contro eventuali atti di concorrenza sleale, pure se provenienti dall'agente stesso dopo l'estinzione del rapporto, con la conseguenza che lo sviamento di clientela posto in essere dall'ex-agente (come dall'ex-dipendente) di un'azienda, facendo uso delle conoscenze riservate acquisite nel precedente rapporto o, comunque, con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale costituisce concorrenza sleale” CC 2004-16156.

La superiore massima, sempre ripresa dalle sentenze che si sono occupate della materia, dice però molto meno di quanto appaia. Invero, fatto salvo il principio -del tutto pacifico peraltro- per cui l’avviamento commerciale prodotto dall’attività dell’agente resti acquisito al patrimonio aziendale del preponente, resta del tutto oscuro il criterio distintivo tra la condotta lecita dell’agente e quella che si possa qualificare contraria alla correttezza professionale.

Un fatto va da subito chiarito. Se è vero che l’avviamento commerciale resta acquisito al preponente, è del pari pacifico che l’ex-agente, collaboratore di imprenditore in concorrenza, possa contrastare e contendere tale avviamento.

Il fatto è assolutamente pacifico. 

Si confronti infatti CC 2019-18772: "In difetto di precise norme restrittive della concorrenza, riconducibili ad accordi contrattuali validamente stipulati nel rispetto della legge e delle limitazioni da questa richieste per la loro stipulazione, il cliente non "appartiene" a nessuno. L'imprenditore commerciale deve tollerare la concorrenza e quindi la possibile aggressione del suo avviamento commerciale (e con esso del suo rapporto con la clientela) e può legittimamente pretendere dagli altri imprenditori concorrenti solo che essi si astengano dal ricorso a pratiche commerciali scorrette e dalla violazione di specifiche regole deontologiche che disciplinano la concorrenza ai sensi dell'art. 2598 c.c., n. 3. La concorrenza altro non è che contesa della clientela (CC 2008-5437, in motivazione), favorita dall'ordinamento allo scopo di offrire vantaggi al consumatore, che ha diritto ad adeguate informazioni, a una corretta pubblicità, e all'esercizio di pratiche commerciali condotte secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà: il cliente conteso può essere contattato dal concorrente purchè in modo corretto e senza che il suo consenso sia indebitamente estorto. E' il caso inoltre di puntualizzare che la concorrenza sleale per "illecito sviamento di clientela" è un concetto estremamente vago e non tipizzato, e pertanto non assimilabile ad altre figure sintomatiche di concorrenza sleale scorretta elaborate in modo tradizionalmente consolidato dalla giurisprudenza (storno di dipendenti, violazione di norme pubblicistiche, boicottaggio, vendita sottocosto...). Il tentativo di sviare la clientela (che non "appartiene" all'imprenditore) di per sè rientra nel gioco della concorrenza (che altro non è che contesa della clientela) sicchè per apprezzare nel caso concreto i requisiti della fattispecie di cui all'art. 2598 c.c., n. 3, e per ritenere illecito lo sviamento occorre che esso sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale (intesa come il complesso di regole desunte dalla coscienza collettiva imprenditoriale di una certa epoca, socialmente condivise dalla categoria). Non è quindi sufficiente il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso ad un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori. Tale non è, di per sè, l'utilizzo delle conoscenze e dei rapporti commerciali di un ex dipendente o di un ex agente, non vincolato da legittimo patto di non concorrenza. Con la sentenza CC 2007-12681 (con richiamo delle pronunce CC 1983-6316 e CC 1991-3011), pienamente condivisibile, questa Corte ebbe modo di osservare che "In tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l'illiceità della condotta non dev'essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell'insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l'acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un'autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell'attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l'impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro."

Il tema è quindi quello di comprendere quando si possa definire illecita, cioè assunta in violazione della correttezza professionale, questa attività di contesa dell’avviamento.

Senza addentrarsi in sterili generalizzazioni, qualche utile elemento si potrà trarre dall’esame dei casi editi.

Nel caso trattato da CC 1978-1548 è stata considerata condotta sleale quella di un’impresa che abbia assunto quale amministratore un ex-agente del concorrente e che, utilizzando documenti contrattuali dal primo illecitamente detenuti -perché non restituiti al preponente- abbia organizzato una sistematica campagna di sviamento di clientela particolarmente mirata, avendo notizia precisa delle scadenze contrattuali e dei prezzi praticati.

Questa decisione, certamente condivisibile, ha ravvisato la scorrettezza professionale nell’illecita detenzione e utilizzazione di notizie riservate. Il profilo determinante si deve qui rinvenire nell’illecito trattenimento dei documenti - certamente appartenenti all’imprenditore danneggiato- e nella corrispettiva puntualità della campagna di sviamento realizzata sulla loro base. Il caso sarebbe stato invece assai più dubbio se fosse mancato l’inadempimento dell’agente all’obbligo di restituzione documentale.

Infatti, nel caso trattato da CC 2004-16156 la decisione è andata nel senso opposto.

Un agente risolve i mandati in essere da lungo tempo con il preponente. Inizia poi a collaborare con un nuovo preponente e, sulla base del rapporto personale e della conoscenza della situazione dei singoli clienti, realizza un significativo trasferimento della clientela dal primo imprenditore al secondo. In questo caso la Cassazione ha sostenuto le valutazioni delle corti di merito, che non hanno ravvisato alcuna scorrettezza professionale dell’agente, valorizzando in particolare il fatto che l’agente si sia valso nella sua opera di travaso della clientela del rapporto personale instaurato con la clientela, senza fare uso di informazioni riservate aziendali. In particolare è stato attribuito peso decisivo alle testimonianze dei clienti, che hanno riferito che per l’acquisto dei servizi in discussione (polizze assicurative) ritenessero il loro autentico interlocutore l’agente, piuttosto che la compagnia assicurativa da questo rappresentata.

Questo consente di concludere che, se certamente l’avviamento commerciale realizzato dall’agente resti in capo al preponente dopo la cessazione del rapporto, del pari la familiarità ed il rapporto di fiducia personale instaurato con la clientela -che spessissimo, in un mercato altamente concorrenziale, costituisce l’elemento decisivo nell’orientare le scelte d’acquisto dei clienti- resta un patrimonio proprio dell’agente da questi spendibile e/o impiegabile anche presso un nuovo preponente in concorrenza con il precedente.

In definitva, quindi, la fattispecie di concorrenza sleale ai sensi del n. 3 dell’art. 2598 c.c. si verifica al ricorrere cumulativo di queste circostanze:

  1. I pretesi atti di concorrenza siano avvenuti una volta cessato il mandato di agenzia;
  2. le condotte materiali di concorrenza sleale siano poste in essere dall’agente in necessario collegamento con un imprenditore in concorrenza effettiva con l’ex-preponente;
  3. la condotta dell’agente si qualifichi come contraria alla correttezza professionale.

Quanto poi al concorso dell’azione per la concorrenza sleale e l’azione contrattuale sulla base di un eventuale patto di non concorrenza, si segnala CC 2016-17239: “quanto ai rapporti tra la azione ex art. 1751 bis c.c., la azione ex art. 2598 c.c., la prima si connota per avere natura contrattuale ed oggetto ampio, abbracciando, diversamente dalla azione per concorrenza sleale, ogni attività concorrenziale, anche astrattamente lecita. Sicché ove la violazione del patto di non concorrenza avvenga attraverso atti illeciti la azione contrattuale ex art. 1751 bis c.c., concorrerà con quella extracontrattuale di cui all'art. 2598 c.c. (ovvero con quella generale di cui all'art. 2043 c.c.), senza alcuna alternatività, affermata invece dalla Corte territoriale rispetto ad una non meglio qualificata azione "per sviamento di clientela”.

Tags: