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10-11-2020

Fiducia, buona fede e giusta causa nel contratto di agenzia

In questo post vedremo, alla luce di precedenti di Cassazione, che integrano la giusta causa di recesso dal contratto di agenzia anche comportamenti estranei all'inadempimento del contratto.

Nell’ambito del contratto di agenzia l’istituto della giusta causa di recesso, inteso come “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è applicabile in forza di estensione analogica.

L’istituto della giusta causa di recesso è infatti previsto dall’art. 2119 c.c. per il contratto di lavoro subordinato. Il fondamento della sua estensione analogica al contratto di agenzia è il vincolo fiduciario, elemento che condivide con il contratto di lavoro subordinato.

L’estensione analogica dell’art. 2119 c.c. al contratto di agenzia sulla base dell’elemento fiduciario non deve sorprendere, dal momento che lo stesso art. 2119 c.c. rappresenta la valorizzazione legale della fiducia nel contratto di lavoro subordinato.

Proprio sulla base di tale elemento, infatti, la dottrina e la giurisprudenza anteriori al Codice del 1942 ammisero il recesso stragiudiziale per giusti motivi nel contratto di lavoro, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, sebbene il Codice del 1865 letteralmente prevedesse esclusivamente il rimedio della risoluzione giudiziale. E sempre sulla base dell’elemento fiduciario, la stessa dottrina e giurisprudenza estesero il perimetro dei giusti motivi di recesso nel contratto di lavoro oltre l’inadempimento, ricomprendendovi tutte le condotte che -seppure non rilevanti sul terreno delle obbligazioni contrattuali- fossero comunque idonee a rimuovere definitivamente la fiducia di una parte nell’altra.

Se quindi è l’elemento fiduciario il nesso che ha consentito l’estensione analogica della previsione dell’art. 2119 c.c. al contratto di agenzie, è del tutto naturale che la giusta causa ivi contemplata, in quanto clausola generale, debba adattarsi alla particolare connotazione che la fiducia assume nel contratto di agenzia.

E questo tratto distintivo della fiducia nel contratto di agenzia rispetto alla fiducia nel lavoro subordinato è stato colto e valorizzato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14771 del 04.06.2008, laddove ha stabilito: “su un piano generale, è da osservare che fra lavoro autonomo e lavoro subordinato sussiste differenza strutturale e conseguente differenza di disciplina. Aspetto di questa differenza è l’intensità della fiducia che è riposta nel lavoratore. In questo quadro è da affermare: pur comune fondamento del rapporto di lavoro autonomo e del lavoro dipendente, nel lavoro autonomo la fiducia, in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività (per luoghi, tempi, modalità e mezzi in relazione al conseguimento delle finalità aziendali), assume maggiore intensità. Ed in corrispondenza di questa maggiore intensità, è sufficiente un fatto di minore consistenza per farla cessare”.

Questa sentenza, nel solco del consolidato orientamento che riconosce l’estensione dell’art. 2119 c.c. al contratto di agenzia, sebbene sia la prima a valorizzare espressamente un tratto differenziale della fiducia nel contratto di agenzia rispetto al lavoro subordinato, non pare avere portata autenticamente innovativa.

Al riguardo è bene precisare che la massima è maturata in un contenzioso in cui il recesso per giusta causa era stato comunicato dal preponente all’agente. In questo senso, la valorizzazione della maggiore autonomia del prestatore di lavoro autonomo, sottratto -a differenza del lavoratore subordinato- alla diretta sfera di controllo del preponente è del tutto appropriata e condivisibile. Peraltro, non risulta essere che una specifica applicazione del principio generale, costantemente affermato ed applicato nell’alveo del lavoro subordinato, secondo cui: “la valutazione della gravità del comportamento del dipendente ai fini del giudizio sulla legittimità della giusta causa deve essere compiuta tenendo conto dell’incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro al lavoratore”, prendendo in considerazione tutti gli elementi del caso concreto, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

Con la successiva sentenza n. 11728 del 26.05.2014, la Corte di Cassazione recupera poi il principio già espresso da Cass. 14771/2008 in ordine alla maggiore intensità del vincolo fiduciario nel contratto di agenzia, questa volta facendone applicazione nel senso inverso. Richiamando il precedente del 2008, la Corte di Cassazione ha infatti confermato la decisione della Corte d’Appello di Milano che aveva riconosciuto sorretto da giusta causa il recesso comunicato dall’agente e motivato dal mancato pagamento di una provvigione su uno specifico affare concluso direttamente dal preponente nella sua zona di esclusiva.

A bene guardare però, anche questa sentenza non fa che una piana applicazione del generale principio per cui il giudizio di gravità della condotta deve essere adatto allo specifico rapporto fiduciario sotteso al rapporto controverso, in coerenza con la natura di clausola generale della giusta causa. Infatti, le ragioni della sentenza d’appello, confermate dalla Cassazione, avevano valorizzato nel caso di specie: (a) l’instabilità della zona affidata all’agente, in considerazione del diritto unilaterale di variazione riconosciuto al preponente; (b) la carenza assoluta di ragioni valide per rifiutare il pagamento della provvigione.

Di ben altro interesse è però l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 10732 del 17.04.2019. Questo provvedimento, edificando sui due precedenti richiamati, costruisce un argomento originale in quanto raccorda il tradizionale concetto di fiducia, proprio dell’ordinamento interno italiano, con doveri di lealtà e buona fede di contenuto diverso rispetto a quello tradizionalmente derivante dagli articoli 1175 c.c. e 1337 c.c. Ciò in ragione della valorizzazione del concetto di lealtà e buona fede contenuto negli art.li 3 e 4 della Direttiva 653/86, poi trasfusi negli art.li 1746 e 1749 c.c.

Va innanzitutto richiamato il contesto: la decisione è maturata nel contenzioso avente ad oggetto il recesso per giusta causa comunicato dall’agente al preponente e fondato su inadempimenti del preponente nei confronti dei clienti procurati dall’agente.

E’ poi opportuno riportare quasi per esteso la decisione:

“va, altresì, sottolineato che l'istituto del recesso per giusta causa, previsto dall'art. 2119 c.c., comma 1, in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tenere conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest'ultimo ambito il rapporto di fiducia -in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell'attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali - assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza (cfr. Cass. 26.5.2014 n. 11728; Cass. 4.6.2008 n. 14771).

Questo è il richiamo ai precedenti già commentati, che serve alla Corte di Cassazione per introdurre e sviluppare l’argomentazione:

Orbene, l'oggetto dell'incarico affidato all'agente con il contratto di agenzia (che a norma dell'art. 1742 c.c., è il contratto con cui una parte (agente) assume stabilmente, verso retribuzione, l'incarico di promuovere per conto dell'altra (preponente) la conclusione di contratti in una zona determinata) è l'attività di "promozione diretta" di contratti nell'interesse del preponente: attività che implica una serie di incombenze di contenuto vario e non predeterminato, che si sostanziano in vari diritti ed obblighi a carico di entrambe le parti.

In particolare la legge, con gli artt. 1748 e 1749 c.c., oltre a disciplinare con la norma di cui all'art. 1746 c.c., gli obblighi dell'agente, regola in modo particolare i diritti di questi e i corrispondenti obblighi cui è tenuto il preponente.

Con particolare riguardo a tale soggetto, la disposizione esige prima di tutto un comportamento improntato a lealtà e buona fede, che giuridicamente può qualificarsi come "obblighi di protezione", cioè come concretizzazione della regola di correttezza quale clausola generale dei rapporti obbligatori intesi secondo la concezione moderna; prevede, poi, una serie di attività specifiche che possono individuarsi, invece, nella categoria degli "obblighi di prestazione", che attengono più specificamente all'azione di adempimento, mentre i primi, naturalmente, possono essere solo violati.

Sin qui, come si vede, nulla di nuovo sotto il sole. Ci si limita a richiamare il consolidato, sebbene piuttosto indeterminato, orientamento che qualifica la buona fede come la manifestazione del dovere giuridico di conformare le condotte di relazione contrattuale alla schiettezza, alla diligente correttezza ed alla solidarietà sociale.

La previsione dell'obbligo di comportarsi secondo lealtà e buona fede (espressamente contemplato nella direttiva CEE 653/86), che costituisce la prima statuizione dell'art. 1749 c.c., ha assunto un significato più profondo in relazione alla legislazione di fonte comunitaria - rispetto al generale obbligo di cui agli artt. 1175 e 1337 c.c. - perchè consente al giudice di avere a disposizione un duttile strumento di valutazione del comportamento dei contraenti nella specifica tipologia contrattuale.

Qui si affaccia il profilo di originalità della pronuncia. Laddove sostituisce la disciplina comunitaria alle disposizioni di diritto interno quale fondamento normativo dell’obbligo di lealtà e buona fede.

L'obbligo ex lege, quindi, non solo integra la prestazione principale ma si articola, oltre che in obblighi strumentali accessori e funzionali alla soddisfazione dell'interesse del creditore, anche in obblighi autonomi e reciproci rivolti a proteggere la sfera giuridica della controparte.

Questo è il punto: la buona fede “europea” non è più solo limitata agli obblighi di solidarietà sociale correlati all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, ma costituisce titolo di autonomi doveri di protezione della sfera giuridica della controparte contrattuale. Ciò significa che, nel contratto di agenzia, il portato concreto della buona fede si estenderà oltre gli ordinari doveri in tema di affidamento, avvisi, tolleranza, modifica della condotta e prestazioni non previste, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, sempre correlati alle prestazioni dedotte in contratto, per costituire fonte di autonomi obblighi di protezione, anche se esorbitanti dal campo definito dalle obbligazioni contrattuali.

Nella valutazione della giusta causa di recesso sopra richiamata, pertanto, l'accertamento del giudice non può essere limitato alla verifica delle violazioni delle norme contrattuali regolanti il solo rapporto agenziale ma, in virtù dell'obbligo sancito dall'art. 1749 c.c., deve considerare ogni invasione comunque lesiva, che viola i principi di lealtà e di buona fede, degli interessi delle parti.

In questa ottica, pertanto, assumono rilievo non solo i comportamenti che si riflettono in modo diretto ed immediato sul sinallagma del contratto di agenzia, ma anche quelli i cui effetti si concretizzano in maniera mediata ed indiretta sui rapporti tra le parti, purchè idonei ad incidere sul rapporto fiduciario, particolarmente pregnante per tale forma di contratto, recando pregiudizio alle situazioni giuridiche soggettive dei contraenti.

In questo passaggio si opera il raccordo tra la buona fede “espansa” oltre i limiti delle obbligazioni contrattuali e la fiducia, stabilendo che la violazione degli obblighi di buona fede non correlati alle obbligazioni contrattuali può rilevare sul piano della giusta causa di recesso.

Infine si giunge alla conclusione nel senso che segue:

Nel caso in esame, quindi, non è condivisibile l'assunto della Corte territoriale, secondo cui, la violazione che incide sulla sussistenza della giusta causa di recesso riguarda solo gli obblighi contrattuali inerenti i rapporti tra agente e Istituto bancario e non anche quelli di quest'ultimo verso terzi, perchè se le condotte "esterne" tenute dal preponente comunque arrecano disagio all'agente, esponendolo magari ad eventuali profili di responsabilità verso i medesimi terzi, o rendono più difficoltoso l'esercizio di attività lavorative o determinano una lesione dei diritti all'immagine e alla professionalità dell'agente medesimo nell'ambito della platea dei suoi clienti, ponendosi, pertanto, in contrasto con gli obblighi di buona fede e di lealtà, esse non possono essere estromesse dalla valutazione dell'incidenza della fiducia sul vincolo contrattuale e sulla possibilità di costituire giusta causa di recesso;

Questo è sostanzialmente il risultato utile dell’ordinanza, vale a dire quello di stabilire che rilevano sul piano della giusta causa di recesso tutte quelle condotte, anche se estranee al piano strettamente obbligatorio, capaci di minare irrimediabilmente la fiducia tra le parti, fiducia che viene riconosciuta avere particolare intensità nel contratto di agenzia.

La conclusione è senz’altro corretta e condivisibile.

Non si capisce peraltro la necessità, nell’impianto argomentativo, di introdurre un concetto eterodosso di buona fede, quando lo stesso identico risultato si sarebbe più coerentemente e pianamente ottenuto facendo applicazione dei principi consolidati in tema di fiducia.

In particolare, una volta accertato -come del tutto pacifico- che l’elemento fiduciario sia comune al contratto di lavoro subordinato ed al contratto di agenzia, per valorizzare sul piano della giusta causa le condotte estranee alla sfera dell’adempimento, sarebbe stato sufficiente un piano richiamo all’idoneità della condotta a ledere il vincolo fiduciario, secondo l’impostazione tradizionale della teoria oggettiva.

Per il contratto di agenzia, infatti, non si pone nessuna delle difficoltà che, per il lavoro subordinato, conseguono all’introduzione della disciplina speciale limitativa dei licenziamenti. Non esiste invero in questo campo norma analoga all’art. 3 Legge 604/1966, che riconnette la legittimità della risoluzione del contratto al “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali”.

Mi pare di poter quindi concludere nel senso che, nel campo del contratto di agenzia, l’elemento fiduciario rilevi, per così dire, nella sua forma pura o originaria. Nel senso cioè di rilevare come quell’elemento caratterizzante il rapporto che deve sempre sussistere affinché il contratto possa assolvere alla funzione sua propria. Esso opera quindi sul piano della causa del contratto, con la conseguenza che la sua compromissione, comunque avvenuta, legittima al recesso per giusta causa.

A ben vedere, dunque, anche l’ordinanza 10732/2019 non è altro che una pura e semplice applicazione dei principi in tema di fiducia nei rapporti di collaborazione lavorativa. Nel senso che, come tradizionalmente riconosciuto, rilevano sul piano della giusta causa di recesso tutte le condotte, anche esorbitanti dal piano obbligatorio, purché capaci di rimuovere definitivamente la fiducia di una parte nell’altra.

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