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26-11-2022

L'informatore scientifico come agente di commercio

In questo articolo cercheremo di tracciare le principali linee del problema dell’inquadramento giuridico del rapporto di lavoro dell’informatore scientifico del farmaco (ISF), dando conto (1) dei termini storici della questione; (2) delle innovazioni legislative e giurisprudenziali; (3) delle ricadute sul piano della regolamentazione del rapporto cui danno origine le diverse soluzioni che si contendono il campo.

Sotto il primo aspetto sono noti i termini della questione: si fronteggiano da tempo due opposte teorie: (1) da un lato si ammette senza riserve la riconducibilità del rapporto di lavoro dell’informatore scientifico del farmaco allo schema del contratto di agenzia; (2) dall’altro, si nega in radice la compatibilità dell’attività dell’ISF con il contratto di agenzia.

Il dato giurisprudenziale non è univoco, sebbene propenda in larga parte per la teoria negativa.

Il punto del contendere è il concetto di “promozione della conclusione dei contratti” che all’art. 1742 cod. civ. costruisce come prestazione principale dell’agente di commercio.

Come noto, l’informatore scientifico del farmaco non sollecita la conclusione dei contratti direttamente presso il pubblico dei compratori dei medicinali, ma svolge, per contro, attività di propaganda o informazione presso i medici che dovranno poi, eventualmente, decidere di prescrivere i farmaci ai pazienti, così inducendo, solo in via mediata ed indiretta, un aumento delle vendite dei prodotti presso il pubblico dei consumatori.

Chi propende per la tesi positiva, ammette che l’attività di propaganda dell’ISF sia riconducibile al concetto di “promozione della conclusione dei contratti”, chi propende per la tesi negativa, per contro, lo nega.

È quindi per il medio della prestazione principale del contratto di agenzia che si svolge l’opera di qualificazione, in linea con la tradizione ermeneutica italiana che, sui problemi di qualificazione, tende a convergere su questo elemento.

La scarsa utilità del riferimento si può forse comprendere dal fatto che le due tesi che si contendono il campo, a sostegno delle opposte posizioni, si richiamano alla stessa sentenza di Cassazione, resa peraltro in tema di noleggio di automobili.

Si fa riferimento CC 6482-2004 che ha stabilito: “nel contratto di agenzia la prestazione dell'agente consiste in atti di contenuto vario e non predeterminato che tendono tutti alla promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente, quali il compito di propaganda, la predisposizione dei contratti, la ricezione e la trasmissione delle proposte al preponente per l'accettazione; l'attività tipica dell'agente di commercio non richiede, quindi, necessariamente la ricerca del cliente ed è sempre riconducibile alla prestazione dedotta nel contratto di agenzia anche quando il cliente, da cui proviene la proposta di contratto trasmessa dall'agente, non sia stato direttamente ricercato da quest'ultimo ma risulti acquisito su indicazioni del preponente (o in qualsiasi altro modo), purché sussista nesso di causalità tra l'opera promozionale svolta dall'agente nei confronti del cliente e la conclusione dell'affare cui si riferisce la richiesta di provvigione. In ogni caso, perché possa configurarsi un contratto di agenzia non occorre che l'agente abbia la possibilità di fissare prezzi e sconti e comunque quella di modulare le condizioni del servizio alle peculiari esigenze dei clienti del servizio stesso, potendo la standardizzazione delle condizioni di vendita rendere preminente l'azione di propaganda rispetto a quella di preparazione e allestimento del contratto”.

Sulla base di questo stesso dato giurisprudenziale da una parte (Alberto Venezia, Il Contratto di Agenzia, X° ed. pag. 663, nota 29) si è sottolineato che la Cassazione ha espressamente ammesso come l’attività di propaganda sia riconducibile alla prestazione tipica dell’agente di commercio; dall’altra (Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, IV° ed. pag. 8, nota 10), si è rilevato in senso opposto che la Cassazione ha comunque ritenuto necessario che sia l’agente a trasmettere al preponente la proposta di contratto. Pertanto, considerato il fatto che non trasmette ordini d’acquisto al preponente, l’informatore scientifico del farmaco non sarebbe mai giuridicamente un agente di commercio.

Al riguardo, si segnalano per la prevalenza della tesi negativa in giurisprudenza, i seguenti arresti della Corte di Cassazione:

CC 13027-2001: “l'attività del propagandista di medicinali può svolgersi sia nell'ambito del rapporto di lavoro autonomo sia in quello del rapporto di lavoro subordinato, a seconda che la prestazione dell'attività, sostanzialmente identica in entrambi i casi, si caratterizzi per le modalità del suo svolgimento, avendo le espressioni adoperate dalle parti per definire il loro rapporto valore solo indicativo. Dall'anzidetta attività (svolta in via autonoma e subordinata) che consiste nel persuadere la potenziale clientela dell'opportunità dell'acquisto, informandola del prodotto e delle sue caratteristiche, ma senza promuovere (se non in via del tutto marginale) la conclusione di contratti differisce l'attività dell'agente il quale, nell'ambito di una obbligazione non di mezzi ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione di contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso”;

CC 6355-1999: “l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l'obbligazione tipica dell'agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, ma deve consistere nell'attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente. Pertanto, quando l'ausiliare di un'impresa farmaceutica si limita a propagandare il prodotto presso i medici, e quindi a promuovere solo indirettamente gli affari del preponente, tale ausiliare non è un agente ma un propagandista scientifico, la cui attività può formare oggetto di lavoro subordinato od autonomo o talora può aggiungersi a quella di agente, quando questi curi anche la stipulazione dei singoli contratti”;

CC 6291-1990: “l'attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l'obbligazione tipica dell'agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell'attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all'agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite e andati a buon fine, e che è configurabile l'obbligo (a carico dell'agente medesimo) allo star del credere. Pertanto, quando l'ausiliare di un'impresa farmaceutica si limita a propagandare il prodotto presso i medici, e quindi a promuovere solo indirettamente (giacché i farmaci non sono acquistati dagli stessi medici) gli affari del preponente, tale ausiliare, comunque venga definito dalle parti, non è un agente ma un propagandista scientifico, la cui attività può formare oggetto di lavoro subordinato od autonomo, a seconda che siano riscontrabili o no i caratteri della subordinazione;

CC 18686-2008: “l'attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l'obbligazione tipica dell'agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell'attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all'agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite ed andati a buon fine”;

Va peraltro sottolineato che in queste sentenze non si deve leggere più di quanto non vi sia. In particolare, le decisioni sono state rese in procedimenti in cui il contratto di agenzia era impugnato dall’ISF che pretendeva l’applicazione al rapporto del diverso regime giuridico del lavoro subordinato.  

Anche ammesso che l’informatore scientifico del farmaco non sia un agente di commercio, facendo difetto al rapporto l’obbligazione principale del contratto di agenzia, ciò solo però non significa che l’ISF sia un lavoratore subordinato. Ed infatti, coerentemente con questa impostazione tradizionale, i casi sono stati di volta in volta decisi sulla base del riscontro concreto del diverso elemento della subordinazione che, come noto, è il tratto qualificante il rapporto di lavoro subordinato.

In altre parole, anche collocato il rapporto di lavoro dell’ISF fuori dal perimetro del contratto di agenzia, questo non significa ancora -automaticamente- la sua collocazione nel diverso regime giuridico del lavoro subordinato, dipendendo quest’ultima opzione dal riscontro concreto della sussistenza dell’ulteriore elemento della subordinazione.

E questi sono, in estrema sintesi, i termini della questione.

Si tratta ora di vedere, passando al secondo punto che ci eravamo prefissi di esaminare all’inizio di questo articolo, se la situazione sia ancora nei termini sopra descritti ovvero se l’ordinamento sia mutato in modo tale da alterare i termini della questione.

Gli elementi di novità da considerare sono, rispettivamente: (1) l’art. 2, del D.lgs 81/2015 che dispone: “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” e (2) la sentenza di Cassazione CC 1663-2020 che, dopo diversi anni di incertezze, ha fornito i primi importanti chiarimenti su come si debba intendere, interpretare ed applicare la norma appena citata in tema delle c.d. “collaborazioni etero-organizzate”.

Il tema è di particolare rilevanza perché, alla luce di CC 1633-2020, le collaborazioni etero-organizzate sono una sottospecie del lavoro autonomo cui viene estesa la disciplina del lavoro subordinato.

La norma quindi, per come è stata interpretata dalla Corte di Cassazione, presenta un evidente profilo di novità e rilevanza in ordine alla qualificazione rapporti di lavoro degli ISF ed al conseguente regime giuridico loro applicabile. Infatti, se in precedenza l’uscita dal perimetro dell’agenzia di commercio significava semplicemente il transito nell’ambito del lavoro autonomo, senza alcuna sostanziale alterazione nella regolamentazione del rapporto in mancanza della diretta dimostrazione della sussistenza del diverso requisito della subordinazione, ora, lo sgancio dallo schema del contratto di agenzia, avrebbe il solo effetto di mettere fuori gioco la clausola di esclusione di cui alla lettera a) del secondo comma dell’art. 2 D.lgs. 81/2015.

Quest’altra norma dispone che: “la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;

In altri termini: l’estensione del regime di lavoro subordinato non è possibile per le collaborazioni autonome oggetto di speciali contratti collettivi. Il che, ovviamente, in ragione della lunga tradizione italiana di contrattazione collettiva degli agenti di commercio e della larga applicazione degli Accordi Economici e Collettivi, significa che gli agenti di commercio non potrebbero mai invocare in loro favore l’estensione del regime del lavoro subordinato.

Per contro, se non è un agente di commercio, almeno secondo il ricordato orientamento maggioritario, l’informatore scientifico del farmaco potrebbe invocare l’estensione del regime del lavoro subordinato non già – e qui sta il tratto di novità- in via di sussunzione diretta del rapporto entro la cornice dell’art. 2094 cod. civ., vale a dire in quanto concretamente soggetto al potere di eterodirezione gerarchica del preponente, ma bensì in quanto lavoratore autonomo etero-organizzato.

Si tratta a questo punto di capire cosa debba intendersi per etero-organizzazione.

Al riguardo non potrà che riportarsi a quanto deciso da CC 1633-2020 anche alla luce delle considerazioni svolte da autorevole dottrina (M.T. Carinci, RIDL 2020, n. 1, pag. 49 e ss.).

Su queste basi, può intendersi per etero-organizzazione: “elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l’organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente predisposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione d’impresa” [punto 32 CC 1663-2020].

Il che significa, in altri termini che, proprio in forza del collegamento funzionale tra l’attività del collaboratore e quella dell’impresa committente, il contenuto della prestazione dovuta dal collaboratore è alterato, modificato o specificato in relazione all’organizzazione del committente.

In questa luce, appare tutt’altro che remota la possibilità di qualificare il rapporto con l’informatore scientifico del farmaco in termini di collaborazione etero-organizzata, ciò soprattutto perché il profilo di adeguamento e specificazione della prestazione dell’ISF in base alla connessione funzionale con l’organizzazione del committente è addirittura previsto ed imposto dalla legge.

Si confrontino al riguardo le disposizioni di cui all’art. 122 D.lgs. 219-2006:

comma 2, ultima parte: “in tutti i casi gli informatori scientifici devono ricevere una formazione adeguata da parte delle imprese da cui dipendono, così da risultare in possesso di sufficienti conoscenze scientifiche per fornire informazioni precise e quanto più complete sui medicinali presentanti. Le aziende titolari di AIC [Autorizzazione all’Immissione in Commercio n.d.r.] assicurano il costante aggiornamento della formazione tecnica e scientifica degli informatori scientifici”;

comma 3: “l’attività degli informatori scientifici è svolta sulla base di un rapporto di lavoro instaurato con un’unica impresa farmaceutica”;

comma 6: “gli informatori scientifici devono riferire al servizio scientifico di cui all’art. 126 [servizio incaricato dell’informazione dei medicinali che l’impresa immette sul mercato, costituito obbligatoriamente in seno a ciascuna impresa n.d.r.], dal quale essi dipendono, ed al responsabile del servizio di farmacovigilanza di cui al comma 4 dell’art. 130 [soggetto che collabora a titolo stabile e continuativo con il committente, responsabile del servizio di farmacovigilanza, n.d.r.], tutte le informazioni sugli effetti indesiderati dei medicinali, allegando, ove possibile, copia delle schede di segnalazione utilizzate dal medico”.

Se dunque il profilo di integrazione della prestazione dell’ISF con l’organizzazione dell’industria farmaceutica è addirittura istituito per legge, vi è la concreta possibilità che l’ISF possa impugnare il contratto di agenzia, richiedendo l’applicazione del regime di lavoro subordinato.

Anche questa soluzione è però tutt’altro che scontata. Si segnalano al riguardo due possibili criticità.

La prima è quella della possibile applicazione della clausola di esclusione di cui alla lettera b) del comma secondo dell’art. 2 Legge 81/2015, laddove dispone l’esclusione dell’applicazione della norma in esame: “b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”.

Peraltro tale clausola di esclusione non pare offrire grandi rassicurazioni all’impresa farmaceutica. Se è infatti chiaro che l’ISF è certamente un professionista intellettuale, anche in relazione ai requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio dell’attività al comma 2° dell’art. 122 del D.lgs 219-2006, è altrettanto vero che difficilmente può essere ricondotta alla nozione di albo professionale di cui alla lettera b) del comma 2° dell’art. 2 D.lgs 81-2015, la comunicazione prevista dal al comma 1° dell’art. 122 D.lgs 2019-2006.

Quest’ultima disposizione dispone infatti: “L’informazione sui medicinali può essere fornita al medico e al farmacista dagli informatori scientifici. Nel mese di gennaio di ogni anno ciascuna impresa farmaceutica deve comunicare, su base regionale, all’AIFA [Agenzia Italiana del Farmaco n.d.r.] il numero dei sanitari visitati dai propri informatori scientifici nell’anno precedente, specificando il numero medio di visite effettuate. A tale fine, entro il mese di gennaio di ogni anno, ciascuna impresa farmaceutica deve comunicare all’AIFA l’elenco degli informatori scientifici impiegati nel corso dell’anno precedente, con l’indicazione del titolo di studio e della tipologia di contratto di lavoro con l’azienda farmaceutica”.   

È abbastanza evidente come la comunicazione fatta all’AIFA non si possa ritenere albo professionale ai sensi della lettera b) del comma 2° del D.lgs 81/2015 sia perché (a) espressamente funzionalizzata alla comunicazione del numero di visite fatte agli operatori sanitari; sia perché (b) posteriore allo svolgimento dell’attività, sicché del tutto eterodossa rispetto al concetto di iscrizione “necessaria per lo svolgimento dell’attività professionale”.

Maggior fortuna dovrebbe avere l’utilizzo di specifiche tecniche contrattuali, volte a deviare il fenomeno dall’alveo dell’etero etero-organizzazione verso il diverso concetto del coordinamento di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c., secondo cui: “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.

Dopo questo breve percorso, possiamo passare al terzo punto che ci eravamo prefissi di trattare all’inizio di questo articolo: quali sono le conseguenze sul piano pratico della riqualificazione del rapporto tra la casa farmaceutica e l’informatore scientifico in termini diversi dal contratto di agenzia.

Per conseguenze sul piano pratico si intende l’eventuale applicazione di un corpo normativo diverso rispetto a quello disciplinato dalle parti nel contratto di agenzia ed in esso richiamato.

Sotto questo aspetto, si pongono le seguenti possibilità:

(a) regime del lavoro subordinato: nel caso di presenza effettiva della subordinazione, intesa come soggezione dell’ISF al potere direttivo del datore di lavoro; ipotesi questa non impossibile in astratto ma frequentemente respinta dalle corti di merito e di legittimità;

(b) regime del lavoro subordinato: nel caso in cui il rapporto, pur riconosciuto autonomo, sia però riconosciuto in termini di etero-organizzazione;

(c) regime del contratto di agenzia: per il caso in cui il rapporto, pur ritenuto di agenzia non genuina, non sia ricondotto né al lavoro subordinato, né alle collaborazioni autonome etero-organizzate.

Se i punti (a) e (b) non richiedono ulteriori chiarimenti, è invece necessario spiegare come possa farsi applicazione del regime contrattuale dell’agenzia anche una volta riconosciuto che il rapporto, sostanzialmente, sia diverso da un’agenzia di commercio.

Il fondo della questione è l’autonomia privata. Invero, una volta usciti dall’ambito di operatività del lavoro subordinato e dell’agenzia di commercio, cui solo si applica il principio c.d. dell’indisponibilità del tipo, le parti sono libere di regolare i rapporti come meglio ritengono, ivi inclusa la libertà di applicare ad un rapporto la regolamentazione di un altro rapporto.

L’unico aspetto da tenere a mente è il seguente: sull’assunto che l’informatore scientifico non sia un genuino agente di commercio, anche le fonti eteronome che disciplinano questo rapporto, vale a dire la disciplina inderogabile di legge dell’agenzia di commercio, non saranno più applicabili se non nella misura in cui siano richiamate nel contratto individuale.

In questa prospettiva, quindi, il contratto individuale di agenzia con l’informatore scientifico assume il ruolo di fonte esclusiva del rapporto in quanto, pur recando il nomen iuris di contratto di agenzia, sarebbe da considerare quale contratto innominato ai sensi e per gli effetti del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ.

In conclusione di deve peraltro rilevare che tutti i problemi sopra segnalati sono direttamente dovuti al persistere, nel nostro ordinamento, di una giurisprudenza che tende a escludere l’informatore scientifico dalla nozione di agente di commercio.

Ciononostante, è probabilmente preferibile l’opposta soluzione. Forse però l’operazione ermeneutica dovrebbe essere condotta secondo la tecnica della riconduzione tipologica, che possa evidenziare i profondi tratti di contatto tra l’agente di commercio e l’informatore scientifico, quali ad esempio: (a) la soggezione, anche se al di qua della subordinazione, dovuta al ruolo di ausiliare dell’imprenditore; (b) l’autonomia nell’esecuzione della prestazione; (c) la stabilità e continuatività del rapporto; (d) il rischio di impresa nei distinti elementi della sopportazione delle spese e del corrispettivo calcolato a provvigione sul venduto; (e) la zona contrattuale, piuttosto che sulla base del metodo tradizionale della sussunzione, che concentrandosi in via esclusiva sul criterio esclusivo della prestazione principale, si avvita talvolta in speciose distinzioni entro il davvero elastico concetto della “promozione della conclusione degli affari” di cui all’art. 1742 cod. civ.

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