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15-02-2022

Il patto di non concorrenza dell'agente di commercio

In questo articolo tratteremo del patto di non concorrenza dell’agente di commercio.

INTRODUZIONE
ART. 1751 BIS COD. CIV.
LA FORMA SCRITTA
I LIMITI DI ZONA
I LIMITI DI PRODOTTI
I LIMITI TEMPORALI
IL COMPENSO

Introduzione

La relazione contrattuale tra agente di commercio e preponente è caratterizzata dall’esclusiva. Ciò significa che, salvo patto contrario, all’agente non è consentito, durante la vigenza del contratto, di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

Pertanto, fino a quando dura il contratto di agenzia, all’agente è fatto divieto di operare in concorrenza con il preponente. Per tale motivo, un patto di non concorrenza tra agente e preponente può riguardare esclusivamente il periodo successivo allo scioglimento del contratto, quando l’agente, ormai liberato dalle sue obbligazioni contrattuali, è perfettamente libero di impiegarsi presso un imprenditore in concorrenza con l’ex-preponente ovvero addirittura assumere in proprio la qualifica di imprenditore nello stesso ramo di attività in cui aveva in precedenza operato come agente di commercio.

L’articolo 1751 bis cod. civ.

Il patto di non concorrenza per il periodo successivo alla cessazione del contratto è regolato nel nostro ordinamento dall’art. 1751 bis del codice civile.

Questa disposizione è il risultato di due diversi interventi legislativi. L’art. 5 del Decreto Legislativo 303 del 1991 ha introdotto il primo comma, mentre l’art. 23 della Legge 422 del 2000 ha introdotto il secondo comma dell’attuale formulazione della norma:

[I] Il patto che limita la concorrenza da parte dell'agente dopo lo scioglimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all'estinzione del contratto.

[II] L'accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all'agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L'indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l'estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all'indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l'indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento: 1) alla media dei corrispettivi riscossi dall'agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d'affari complessivo nello stesso periodo; 2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia; 3) all'ampiezza della zona assegnata all'agente; 4) all'esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente

Il primo comma della disposizione è quindi in vigore dal 1991, mentre il secondo comma è in vigore dal 01.06.2001. Sebbene siano trascorsi oltre 20 anni dall’ultima modifica normativa, questo fatto ha ancora rilevanti effetti sui contratti stipulati in data anteriore al 01.06.2001, come vedremo più avanti.

Esaminiamo ora brevemente le caratteristiche del patto di non concorrenza

La forma scritta

La forma scritta è un requisito di validità del patto di non concorrenza. Questo significa che il preponente non potrà invocare in nessun caso un preteso patto di non concorrenza concluso verbalmente con l’agente di commercio. Il patto di non concorrenza può quindi essere stipulato, come generalmente avviene, in occasione della sottoscrizione del contratto di agenzia, quale clausola specifica, oppure con un atto autonomo, sottoscritto tra le parti in un momento successivo all’inizio del rapporto.

I limiti di zona

Il patto è valido solo entro gli stessi limiti di zona, clientela, genere di prodotti o servizi per cui era stato stipulato il contratto di agenzia. Questa disposizione dell’art. 1751 bis cod. civ., all’apparenza così semplice, presenta due diversi problemi di interpretazione. Il dato letterale, infatti, fa riferimento alla zona, clientela e genere di prodotti o servizi per cui “è stato concluso il contratto di agenzia”. Il che pone il problema di capire: (a) che destino debbano avere le clausole di non concorrenza eccedenti i predetti limiti oppure senza determinazione di questi elementi e, questione assai più delicata; (b) che destino debbano avere le clausole stipulate per zone, i clienti, ed il genere di prodotti e servizi che siano stati del caso variati -come spesso avviene- in corso d’opera.

Sotto il primo aspetto la giurisprudenza di Cassazione è stabile nell’affermare che le clausole di non concorrenza che eccedano la zona, la clientela ed i prodotti o servizi affidati contrattualmente all’agente siano da reputarsi nulle solo per la parte in cui eccedono tali limiti e non già nulle per intero. È quindi conservata la volontà delle parti in ordine al vincolo di non concorrenza, volontà che -in caso di eccesso ai limiti legali al patto- viene ricondotta entro questi confini e non già radicalmente invalidata.

I precedenti sul punto sono:

CC 2009-27839 che, facendo applicazione del generale principio di conservazione del contratto di cui al primo comma dell’art. 1419 cod. civ. ha disposto: “esattamente il giudice di merito ritiene che il patto di non concorrenza inserito in un contratto di agenzia possa, ai sensi dell’art. 1751 bis cod. civ., comma 1, operare soltanto per la medesima zona e clientela per le quali era stato concluso il contratto di agenzia e sia nullo per la parte eccedente”. 

CC 2012-8295: “[I] al fine di stabilire se, a norma dell'art. 1419 c.c., comma 1, la nullità di una parte del contratto comporti la nullità del tutto ovvero se debba operare il principio utile per inutile non vitiatur la scindibilità del contratto deve essere valutata attraverso la potenziale volontà delle parti (CC 1980-5100, CC 2003-6756), conseguentemente il patto di non concorrenza inserito in un contratto di agenzia può, ai sensi dell'art. 1751-bis c.c., comma 1, ritenersi operante soltanto per la medesima zona e clientela per le quali era stato concluso il contratto d'agenzia e considerarsi nullo per la parte eccedente”.  [II] “Il patto di non concorrenza stipulato tra agenti di assicurazione è valido solo nell'ambito della medesima zona e clientela, mentre deve ritenersi nullo per le parti eccedenti, con esclusione di ogni derogabilità da parte degli usi e dalla contrattazione collettiva attesa la natura indisponibile alle parti della previsione di cui all'art. 1751-bis c.c., comma 1”;

Facendo applicazione della stessa logica di fondo è stato risolto il diverso problema della clausola di non concorrenza che non faccia alcun riferimento a limiti di zona, prodotti o clienti. Anche in questo caso la volontà delle parti di vincolarsi è stata fatta salva, ovviamente solamente entro i limiti legali di validità del patto.

Il precedente in termini è CC 2015-12127: “la mancata specificazione nell’accordo [di non concorrenza] tra agente e preponente della zona, della clientela o della tipologia di prodotti o servizi, di per sé non può determinare, l’invalidità dell’intero negozio [di non concorrenza], fuori del caso in cui, dopo aver proceduto l’interpretazione del contratto, si giunga al risultato esegetico che lo stesso manchi nell’oggetto dei requisiti di determinatezza o determinabilità. Occorre quindi, per tale aspetto, dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte che ha già avallato interpretazioni dei giudici di merito secondo cui il patto di non concorrenza inserito in un contratto di agenzia può, ai sensi dell’art. 1751 bis cod. civ., comma 1, operare solamente per la medesima zona e clientela per le quali era stato concluso il contratto di ed è nullo solo nella parte eventualmente eccedente”.

Nell’interpretare i limiti di validità del patto di non concorrenza per quanto riguarda la zona la giurisprudenza è quindi stabile nell’operare un riferimento necessario al contenuto del contratto di agenzia che diventa, a prescindere da quanto eventualmente diversamente pattuito, il contenuto necessario anche del patto di non concorrenza.

Nell’operare questa ricostruzione la giurisprudenza si muove entro confini perfettamente noti e tradizionali, valorizzando da un lato la volontà delle parti e, dall’altra, la disposizione di legge che pretende una coincidenza necessaria tra il contenuto del contratto di agenzia e quello del patto di non concorrenza che ad esso accede.

Dunque, riguardato nel suo aspetto statico il problema è di facile soluzione. Infatti, avendo a disposizione entrambi i capi del problema: volontà delle parti e legge, le conclusioni cui perviene la giurisprudenza sono certamente condivisibili.

Il problema si complica, ma diventa però più interessante, se osservato nel suo aspetto dinamico, cioè proiettando il patto di non concorrenza sull’evolvere del rapporto di agenzia.

Il patto di non concorrenza, infatti, è per sua natura destinato a regolare un rapporto che si può collocare anche molto lontano nel futuro rispetto al momento della sua stipulazione. Ciò in quanto il patto di non concorrenza viene generalmente sottoscritto contestualmente alla firma del contratto di agenzia ma spiega poi concretamente i suoi effetti solo una volta che il contratto sia cessato, cosa che -essendo l’agenzia un rapporto di durata- può avvenire, ed infatti di sovente avviene, anche dopo che sono trascorsi lustri, se non decenni.

A ciò si aggiunga la notevole variabilità del sostrato economico in cui opera il contratto di agenzia. I mercati in cui agente e preponente lavorano sono infatti soggetti alla continua pressione della concorrenza globalizzata, dell’innovazione tecnologica, del mutamento dei gusti e delle abitudini di consumo del pubblico. In queste condizioni, l’equilibrio di interessi realizzato dal contratto di agenzia alla data della sua stipulazione tende a modificarsi nel tempo. Per questo motivo nella pratica si riscontrano frequenti modifiche consensuali al contenuto del contratto. Ma oltre a questo  aspetto, che non presenta alcuna difficoltà sistematica, sul terreno dei rapporti di agenzia è emerso un potere di variazione unilaterale dell’oggetto del contratto in favore del preponente, potere riconosciuto e consacrato negli Accordi Economici e Collettivi e del pari avallato dalla giurisprudenza, come già altrove rilevato.

Si tratta quindi di esaminare la relazione tra la modificazione -consensuale od unilaterale-  del contenuto del contratto di agenzia e la correlativa modificazione del contenuto del patto di non concorrenza.

Il tema, che può apparire di dettaglio, è però di rilevantissimo interesse pratico. Infatti, trovando il patto di non concorrenza applicazione dopo lo scioglimento del contratto di agenzia, si verifica con grande frequenza: (a) o che l’agente voglia liberarsi dal patto, per iniziare una collaborazione in sua potenziale violazione; (b) o che sia invece il preponente ad avere interesse a liberarsi dal patto, non volendo pagare un agente che reputa incapace di danneggiarlo da punto di vista commerciale.

In queste condizioni, la validità del patto viene aggredita sotto ogni possibile versante, spesso sfociando in un contenzioso giudiziario.

Al riguardo, un primo punto di attrito sorge direttamente dal testo del primo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. laddove prevede che il patto debba riguardare il la medesima zona, clientela e genere di beni e servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia. Il riferimento alla conclusione del contratto -in questo senso da intendersi come perfezionamento o stipulazione- potrebbe indurre a ritenere che, in caso di successiva modifica della zona, della clientela o dei prodotti il patto resti valido solo per la zona o la clientela o i prodotti originari, ma non operi invece rispetto alle zone, clienti o prodotto da ultimi trattati dall’agente per cui il preponente ha invece il concreto interesse che risultino coperti dal patto. Questa interpretazione, obiettivamente autorizzata dal dato testuale, è respinta dalla dottrina maggioritaria. L’argomento che si spende al riguardo è l’interpretazione adeguatrice del primo comma dell’art. 1751 bis cod. civ., da condurre alla luce dell’art. 20 della Direttiva CEE 1986-653.

Tale disposizione prevede infatti:

“[I] Ai fini della presente direttiva la convenzione che stabilisce una limitazione dell’attività professionale dell’agente commerciale dopo l’estinzione del contratto è denominato patto di non concorrenza.

[II] Un patto di non concorrenza è valido solo nella misura in cui: (a) sia stipulato per iscritto; (b) riguardi il settore geografico o il gruppo di persone e il settore geografico affidati all’agente commerciale, nonché le merci di cui l’agente commerciale aveva la rappresentanza ai sensi del contratto. 

[III] Il patto di non concorrenza è valido solo per un periodo massimo di due anni dopo l’estinzione del contratto.

[IV] Il presente articolo lascia impregiudicate le disposizioni di diritto nazionale che apportano altre restrizioni alla validità o all’applicabilità dei patti di non concorrenza o prevedono che i tribunali possano attenuare le obbligazioni delle parti risultanti da tali accordi.”

In particolare, nel silenzio della giurisprudenza sul punto, la dottrina sostiene che, dovendosi interpretare la norma nazionale alla luce delle disposizioni comunitarie, si dovrebbe considerare il fatto che la disciplina comunitaria parla di zona, clienti o prodotti affidati all’agente, senza fare alcun riferimento al momento di perfezionamento del contratto, sicché se ne dovrebbe dedurre come anche nell’ordinamento interno sia questo il criterio da adottare.

Orbene, l’argomento sopra sinteticamente riassunto è certamente corretto nel suo presupposto metodologico -vale a dire nel criterio ermeneutico di origine comunitaria che applica-, è carente perché omette di considerare il IV comma dell’art. 20 della Direttiva CEE 1986-653, che riconosce espressamente libertà al legislatore nazionale di applicare ulteriori restrizioni alla validità del patto.

In questo senso, non si vede perché la diversa formulazione domestica si dovrebbe interpretare alla luce della direttiva, quando è la stessa direttiva che autorizza formulazioni nazionali più restrittive. L’argomento che fa leva sulla disciplina comunitaria non appare pertanto convincente perché intimamente contraddittorio.

Pare invece che il problema si possa meglio risolvere sul terreno dei consolidati principi interni, che sono poi anche quelli valorizzati dalla Cassazione nel risolvere gli altri problemi sull’interpretazione della portata del patto di non concorrenza e di cui si è dato conto più sopra.

Punto di partenza imprescindibile è quindi il dato normativo. In questo senso, proprio in relazione alla libertà concessa al legislatore nazionale dal IV° comma dell’art. 20 della Direttiva CEE 1986-653, il riferimento fatto al momento in cui “era stato concluso il contratto di agenzia” deve trovare sistemazione e valorizzazione proprio perché costituisce l’elemento differenziale rispetto al testo della direttiva e, quindi, introdotto consapevolmente dal legislatore con una sua propria funzione. Innanzitutto si deve ritenere che l’utilizzo del verbo essere al passato nella formula “era stato concluso” valga semplicemente a segnare la già rilevata normale sfasatura temporale tra il momento di stipulazione del patto e quello in cui spiega gli effetti. Non autorizza invece a interpretare la disposizione di legge nel senso che oggetto necessario del patto possano essere solo la zona, la clientela o i prodotti definiti al momento del primo perfezionamento del contratto di agenzia. Se infatti, ai sensi dell’art. 1321 cod. civ., è contratto anche l’accordo volto a regolare un rapporto, se ne può dedurre con sicurezza che anche le modificazioni consensuali fatte pendente il rapporto di agenzia costituiscano “conclusione del contratto” ai sensi del primo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. Ciò che comporta, analogamente a quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria, che il patto di non concorrenza muti legittimamente di oggetto al mutare dell’oggetto del contratto di agenzia, purché naturalmente questa modifica si possa ricondurre allo schema astratto del contratto, ovvero il reciproco scambio di concordi volontà tra le parti.

Rispetto a questa ipotesi, unico aspetto ancora da valutare è il seguente: se alla modifica consensuale del contratto di agenzia, che costituisce certamente un nuovo momento di stipulazione del contratto, corrisponda anche un nuovo momento di stipulazione del patto di non concorrenza, nel senso che si debba intendere rinnovata anche la volontà di concludere il patto di non concorrenza ovvero se si debba, rispetto a questo negozio accessorio, tenere ferma la volontà originaria delle parti. Ci si pone questa domanda solo perché dalla risposta ad essa discendono rilevanti effetti pratici. Invero, come noto, a decorrere dal 01.06.2001 è entrato in vigore il secondo comma dell’art. 1751 bis cod. civ., che prevede il pagamento di una indennità a favore dell’agente a fronte dell’assunzione dell’obbligo di non concorrenza post-contrattuale. In precedenza, invece, il patto poteva essere liberamente assunto senza corrispettivo. La giurisprudenza, interrogata sugli effetti dell’innovazione legislativa sui patti stipulati prima della sua entrata in vigore, ha ritenuto di fare salva la pattuizione che prevede l’assenza di corrispettivo, sul presupposto che -al momento della stipulazione del patto- la regolamentazione legale non prevedeva tale corrispettivo e, quindi, facendo leva sul principio di irretroattività della legge. Questa conclusione, ormai in via di consolidamento anche in sede di legittimità, viene qui assunta come dato acquisito alla materia dell’agenzia di commercio. Come si capisce, però, l’intero ragionamento della giurisprudenza, che esclude il diritto dell’agente al corrispettivo per i patti stipulati prima del giugno 2001, si regge sul presupposto logico-giuridico che il patto che spiega i suoi effetti dopo il giugno 2001 sia lo stesso che è stato stipulato prima del giugno 2001. Solo in questo modo infatti si può argomentare nel senso che, dato che al momento della stipulazione la legge non prevedeva il corrispettivo, l’impegno sia stato validamente assunto dall’agente e che sia del tutto irrilevante, ai fini del diritto al compenso, il momento in cui il patto debba avere effetto. Ma cosa accade di questo ragionamento se l’oggetto del patto di non concorrenza originario -quello stipulato prima del giugno 2001- sia mutato indirettamente, in ragione della modifica consensuale al contratto di agenzia però intervenuta dopo il giugno del 2001? È ancora lo stesso patto? quindi giustamente concluso senza il diritto al corrispettivo; oppure è un patto nuovo e diverso? e quindi stipulato sotto la vigenza della legge che prevede il diritto dell’agente al corrispettivo? 

Per rispondere a questa domanda si deve partire dalla natura del patto di non concorrenza che, sebbene sia un patto accessorio al contratto di agenzia, nondimeno mantiene una sua autonomia causale e sinallagmatica. Questo si può affermare sulla base del fatto che: (a) la legge detta una disciplina inderogabile sui limiti di validità del patto, segnalandone l’autonomo rilevo rispetto al rapporto cui accede; (b) il patto ha effetto dopo la cessazione del contratto di agenzia, così separandosi causalmente dalla funzione concreta del contratto di agenzia. Sebbene non siano noti specifici precedenti in termini, la conclusione è supportata dalla consolidata giurisprudenza che riconosce l’autonomia del patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 cod. civ. rispetto al contratto di lavoro subordinato cui accede, nonché dalla giurisprudenza che, per contro, non riconosce autonomia ai patti limitativi della concorrenza durante la vigenza del contratto di somministrazione. In quest’ultimo caso, infatti, si osserva che la clausola di esclusiva o non concorrenza assolve alla funzione di integrare la causa di scambio del contratto di somministrazione, specificandone le modalità di esecuzione, senza per ciò solo assumere autonomia causale (CC 2013-21729). Analogamente, tanto nel lavoro subordinato che nel contratto di agenzia, l’obbligo di non concorrenza durante lo svolgimento del rapporto è elemento naturale del contratto che, come tale, influenza e influisce sulle modalità di esecuzione della prestazione e, certamente, non assume autonomia causale rispetto alla funzione concreta del contratto di lavoro o di agenzia. Fatto questo che però muta radicalmente alla cessazione del contratto, laddove l’obbligazione di non concorrenza, da mero accessorio del contratto, diventa il contenuto esclusivo dell’obbligo assunto dall’ex-agente, così assumendo autonomia causale sua propria.

Una volta condivisa la conclusione nel senso dell’autonomia del patto di non concorrenza post-contrattuale rispetto al contratto di agenzia cui accede, si deve parimenti concludere nel senso che la modifica consensuale del contratto di agenzia valga a integrare anche un nuovo patto di non concorrenza, con la conseguenza che, se la modifica al contratto di agenzia sia intervenuta dopo il giugno 2001, dovrà affermarsi anche il corrispettivo sorgere del diritto dell’agente all’indennità, in quanto il nuovo patto è stato stipulato sotto la vigenza dell’art. 1751 bis cod. civ. nella versione introdotta dall’art. 23 della Legge 2000-422. L’unico modo per negare questa conclusione sarebbe un approccio ancor più radicale che, facendo leva sulla reciproca autonomia del contratto di agenzia e del patto di non concorrenza, giungesse a rifiutare ogni indiretta influenza della manifestazione di volontà modificativa del contenuto del contratto di agenzia sul contenuto del patto di non concorrenza. Questo approccio non è però condivisibile per due ragioni. Primo: si deve fare comunque applicazione dell’orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto più sopra che, posto di fronte a clausole indeterminate o eccedenti i limiti legali di validità del patto, ha dimostrato di valorizzare sempre e comunque l’espressa volontà delle parti, ai fini di conservare nei limiti di legge la validità del patto di non concorrenza; secondo: separare completamente il patto di non concorrenza dal contratto di agenzia significherebbe negare il vincolo di accessorietà che comunque sussiste tra il patto di non concorrenza e il contratto di agenzia, portando a conseguenze assurde e fondamentalmente inutili sul piano del contemperamento degli interessi delle parti.

Si pensi al caso in cui, nel contratto di agenzia con patto di non concorrenza post-contrattuale sia pattuita la zona della Toscana. Successivamente le parti potrebbero accordarsi per variare la zona di competenza dell’agente, sostituendo alla Toscana l’Emilia-Romagna, senza però pattuire nulla in ordine al patto di non concorrenza. Passati poi ad esempio 10 anni, alla cessazione del contratto di agenzia, il patto andrebbe a realizzare i propri effetti sulla Toscana e non già sull’Emilia Romagna, zona in cui l’agente non opera più da tempo e rispetto a cui pare difficile ipotizzare che il patto di non concorrenza così possa assolvere la sua funzione causale.

Anche per tale ragione si deve preferire la diversa ricostruzione che ammette come la modificazione consensuale del contratto di agenzia abbia riverberi diretti anche sul contenuto del patto di non concorrenza, con l’unico avvertimento che ciascuna di queste modificazioni consensuali costituisce anche una nuova stipulazione del patto di non concorrenza con l’effetto che, in caso di contratto anteriore al giugno 2001, qualora l’ultima di tali modificazioni sia intervenuta dopo il 01.06.2001, spetterà comunque all’agente il corrispettivo per il patto di non concorrenza di cui al secondo comma dell’art. 1751 bis cod. civ.

Con l’eccezione dell’ultimo aspetto sul riconoscimento del compenso all’agente, per cui non constano precedenti, in un senso o nell’altro, le conclusioni cui si è dato sopra conto sono da reputarsi solide, perché conformi alla giurisprudenza di legittimità ed all’opinione della dottrina maggioritaria. Tali conclusioni sono però da reputarsi raggiunte limitatamente all’ipotesi della modifica del contratto di agenzia effettuata per concorde volontà delle parti. Restano invece ancora da verificare in relazione all’ipotesi di modifica del contenuto del contratto operata dal preponente con atto di volontà unilaterale.

Va infatti osservato che la disciplina codicistica non prevede affatto l’attribuzione al preponente di un potere unilaterale di modifica degli elementi del contratto. Tale potere è emerso nella pratica per consentire l’adattamento del contratto alle esigenze del mercato. Sebbene poi tale potere abbia ottenuto il riconoscimento della contrattazione collettiva di categoria, unitamente ad un riconoscimento -a determinate condizioni- anche da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, ciò non autorizza ad estendere automaticamente gli effetti della legittima modificazione del contenuto del contratto di agenzia eventualmente provocata, anche al contenuto del patto di non concorrenza.

Questa estensione va infatti quantomeno esaminata e, se del caso, giustificata. Questo esame si rende necessario se solo si tenga presente che: (a) il regime pattizio limitativo della concorrenza è speciale rispetto alla regola generale, che tutela e garantisce autonomamente la concorrenza quale bene giuridicamente protetto; (b) in particolare, nel rapporto di agenzia, il primo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. detta una normativa inderogabile che pone precisi limiti di tempo e di oggetto alla validità del patto limitativo della concorrenza, così esprimendo una scelta chiara nella direzione del generale sfavore ai limiti della concorrenza nel settore, con l’ulteriore effetto di impedire interpretazioni estensive che abbiamo l’effetto di espandere i limiti alla concorrenza oltre i confini tracciati dalla legge; (c) come già rilevato, il IV comma dell’art. 20 della Direttiva CEE 1986-653 autorizza espressamente la legislazione nazionale a dettare discipline più restrittive di quelle di fonte comunitaria, per cui si tratta comunque di dare una ragione alla espressa formulazione della legge italiana, nella parte in cui differisce da quella comunitaria, ed in particolare nella parte in cui fa riferimento al momento della “conclusione del contratto di agenzia” come il momento a cui si deve fare riferimento per individuare il contenuto necessario del patto di non concorrenza post-contrattuale.

Tutti questi rilievi impongono pertanto di verificare attentamente se, ai sensi della legge italiana, le modifiche unilaterali al contratto di agenzia si possano intendere estese automaticamente anche al patto di non concorrenza.

Il principale ostacolo ad una loro estensione automatica è il dato letterale del primo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. nella parte in cui, come osservato a più riprese, aggancia il contenuto necessario del patto di non concorrenza al contenuto per cui è stato “concluso” il contratto di agenzia, intendendosi con questa locuzione il perfezionamento dell’accordo tra le parti.

Per affrontare il problema è necessario partire proprio dalla relazione tra l’art. 20 della Direttiva ed il secondo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. Pare infatti che la formulazione della legge italiana sia stata adottata sulla base della espressa libertà di introdurre ulteriori restrizioni di cui al IV° comma dell’art. 20 della Direttiva ed assuma pertanto la funzione di limitare l’estensione del patto.

In questo senso, abbiamo già visto sopra che la formulazione domestica non interferisce con l’estensione automatica della modifica al contratto di agenzia assunta consensualmente anche al patto di non concorrenza, ciò in quanto la modifica consensuale è comunque fatto negoziale definibile come “conclusione del contratto di agenzia”.

Conclusione opposta si deve invece sostenere per le modifiche unilaterali del contratto. In questo caso il contratto non viene concluso, nel senso di perfezionato, per mezzo dello scambio di volontà concordi, ma viene bensì modificato nel suo contenuto per effetto dell’esercizio di un potere unilaterale che, come tale, non offre garanzie in termini di bilanciamento dei reciproci interessi delle parti.

È infatti larghissimo il riscontro del fatto per cui le modifiche unilaterali al contratto di agenzia sono subite dall’agente e non certo condivise. E sono tollerate sostanzialmente sulla base di una convenienza comparativa, nel senso che all’agente risulta più conveniente proseguire la relazione come modificata unilateralmente dal preponente più di quanto non gli convenga cessarla del tutto. Il che, però, è cosa ben diversa dal dire che la modifica sia stata condivisa ed accettata dall’agente.

Su queste basi, si deve quindi ritenere che -contrariamente a quanto affermato in tema di modifica consensuale- la modifica unilaterale al contratto di agenzia non abbia alcun automatico effetto di corrispettiva modificazione del patto di non concorrenza. Tale effetto essendo impedito dalla legge, laddove impone che il contenuto del patto di non concorrenza debba corrispondere a quello del contratto di agenzia “concluso”.

Al fine di evitare però lo scollamento tra il patto di non concorrenza e il contenuto del contratto di agenzia, che più sopra abbiamo ritenuto inammissibile in ragione del vincolo di accessorietà tra contratto di agenzia e patto di non concorrenza, occorre ulteriormente differenziare le ipotesi.

Infatti possono darsi tre diversi casi:

(A) la modifica unilaterale disposta dal preponente riduce la zona di competenza dell’agente di commercio;

(B) La modifica unilaterale disposta dal preponente espande la zona di competenza dell’agente di commercio;

(C) La modifica unilaterale disposta dal preponente sostituisce la zona di competenza dell’agente; è questo il caso in cui, ad esempio, con un unico provvedimento, venga sottratta un’area geografica e contemporaneamente ne venga assegnata un’altra.

Nel primo caso, che sarà poi anche il più frequente nella pratica, in cui il preponente riduca la zona di competenza dell’agente il patto di non concorrenza sarà sempre correlativamente ridotto. Ciò in quanto, avendo ricollegato la formulazione del primo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. a quanto disposto dal IV comma dell’art. 20 in tema di legislazione domestica maggiormente restrittiva dell’efficacia del patto, il riferimento al “contratto concluso” non opera qui alcuna concreta funzione di tutela. Può dunque essere abbandonato in favore di una interpretazione conforme al dettato del II° comma dell’art. 20 che, come rilevato dalla dottrina maggioritaria, non fa alcun riferimento al momento di perfezionamento del contratto ma si riferisce semplicemente alla zona “affidata” all’agente. In questo modo è conservata la funzione di tutela della legge italiana, che nel caso specifico non viene ingaggiata, ed è inoltre fatto salvo il vincolo di accessorietà tra contratto di agenzia e patto di non concorrenza che tende alla loro reciproca corrispondenza di contenuto. Naturalmente, quando per effetto della modifica unilaterale al contratto di agenzia si operi la riduzione del contenuto del patto di non concorrenza, sarà correlativamente ridotto anche il compenso in favore dell’agente.

Nel secondo caso, invece, la modifica unilaterale di estensione di zona non avrà alcun effetto di estendere corrispondentemente il contenuto del patto di non concorrenza, essendo l’effetto in questo caso impedito dalla disposizione di legge che impone che il contenuto del patto debba corrispondere al contenuto del contratto di agenzia “concluso”, ovverosia perfezionato mediante scambio di mutuo consenso, fatto che non può reputarsi avvenuto nel caso di modifica unilaterale per volontà esclusiva del preponente. Il patto di non concorrenza resterà quindi valido solo ed esclusivamente per la parte di zona oggetto del contratto di agenzia originariamente stipulato tra le parti.

Nel terzo caso, invece, la sostituzione unilaterale della zona comporterà la caducazione totale del patto di non concorrenza. Infatti, la sottrazione della zona originaria comporterà la corrispettiva riduzione del patto, in forza del meccanismo descritto per il caso di riduzione di zona, laddove l’attribuzione di una nuova zona non potrà avere effetti estensivi sul contenuto del patto, in base a quanto descritto per l’ipotesi di aumento della zona.

Sebbene la natura del potere unilaterale del preponente di modificare il contenuto del contratto di agenzia non sia stato ancora oggetto di attento esame, si segnala che una delle fonti principali per il cui mezzo tale potere ha fatto ingresso nel nostro ordinamento, vale a dire l’Accordo Economico e Collettivo del Commercio del 16 febbraio 2009 ha dettato, sul punto, una disciplina conforme alle conclusioni qui raggiunte.

Invero, l’art. 8 del predetto AEC dispone: “il patto di non concorrenza post-contrattuale potrà essere pattuito solo al momento dell’inizio del rapporto di agenzia. È esclusa ogni possibilità di variazione unilaterale delle intese raggiunte al riguardo del patto di non concorrenza post contrattuale”.

I limiti di prodotti

Facendo applicazione dei principi sopra illustrati, può essere risolto anche il diverso problema dei limiti dei prodotti coperti dal patto di non concorrenza. Anche in questo caso, infatti, si rinviene una differente formulazione della disciplina italiana, che parla di “genere di beni o servizi” per cui era stato concluso il contratto di agenzia, rispetto al secondo comma dell’art. 20 della Direttiva CEE 1986-653 che parla invece di “merci affidate all’agente”.

In particolare, i dubbi che si sono posti sono quelli dell’estensione del patto anche ai prodotti che, sebbene non oggetto del contratto di agenzia, siano purtuttavia riconducibili allo stesso genere.

Questa interpretazione deve essere certamente respinta, in quanto tendente ad estendere la portata dell’efficacia del patto e non già a restringerla. Per tale ragione, anche in questo caso, non si può ritenere che la formulazione italiana sia stata adottata dal legislatore in accordo con quanto previsto a IV comma dell’art. 20 della Direttiva e, pertanto, la locuzione “genere di prodotti e servizi” dovrà essere interpretata restrittivamente ed intesa nel senso di merci o servizi in concreto affidati all’agente.

Si segnala sul punto che, in ordine alla categorizzazione dei prodotti o servizi come concorrenziali o meno, gli Accordi Economici e Collettivi Industria del 30 luglio 2014 e quelli del Commercio del 16 febbraio 2009 contengono entrambi una specifica disposizione, che si riporta di seguito: “le parti si danno atto che è da escludersi la possibilità di concorrenza quando l’incarico conferito all’agente o rappresentante riguardi generi di prodotti che per foggia, destinazione e valore d’uso siano diversi e infungibili tra loro”.

I limiti temporali

Il limite temporale del patto di non concorrenza è pari a 2 anni dalla cessazione del contratto di agenzia. Facendo piana applicazione dei principi già sopra esaustivamente trattati, nel caso di clausola di non concorrenza che preveda una durata più lunga dei due anni od un vincolo a tempo indeterminato, l’efficacia della relativa pattuizione dovrà essere ridotta nel limite biennale.

Il compenso

Come già visto, con decorrenza dal 01.06.2001, è entrato in vigore il secondo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. 

Rispetto a questa norma, si possono offrire i seguenti rilievi.

L’elemento centrale per la determinazione del corrispettivo è la volontà delle parti. Il richiamo fatto agli accordi economici e collettivi si deve intendere privo di effettiva portata in ordine alla quantificazione del compenso. Infatti è principio indiscusso nell’attuale ordinamento italiano quello per cui i contratti collettivi siano da considerare ordinari contratti di diritto privato e, pertanto, applicabili al rapporto individuale solo ove espressamente richiamati nel contratto individuale, ovvero in forza dell’adesione delle parti ad una delle organizzazioni stipulanti.

Pertanto, nel caso l’accordo economico e collettivo trovi applicazione al rapporto individuale, si applicherà la disciplina in esso prevista. In caso contrario saranno le parti del contratto individuale a dover operare la quantificazione dell’indennità. Nel caso questa quantificazione non sia stata fatta nel contratto di agenzia vi provvederà il giudice, come espressamente previsto dall’art. 1751 bis cod. civ.

Disposizione significativa contenuta nell’art.1751 bis del cod. civ. è quella per cui l’indennità corrispettiva del patto di non concorrenza post contrattuale debba avere “natura non provvigionale”, non possa cioè essere calcolata come percentuale degli affari procurati dall’agente. Sul punto peraltro si segnala una discreta incertezza delle corti di merito. Alcune sentenze (Tribunale di Torino, 18 settembre 2007, in Mass. Giur. Lav. 2007, 130 e Trib. Firenze 20 novembre 2012, in Agenti e Rappresentanti di commercio, 2013, n. 1, p 43 e s.) hanno stabilito che il corrispettivo eventualmente riconosciuto all’agente in forma provvigionale debba essere sostituito da quello previsto per legge, peraltro con effetti diversi in ordine al compenso erogato in forma provvigionale pendente il rapporto. In alcuni casi, peraltro, l’attribuzione in corso di rapporti è stata considerata indebita e, quindi, da restituirsi ovvero da compensarsi con l’eventuale dovuto da calcolarsi ai sensi di legge. In altri casi, invece, il compenso provvigionale a titolo di patto di non concorrenza è stato reputato puramente e semplicemente quale compenso provvigionale ordinario, presumibilmente sulla base di un accertato intento fraudolento della pattuizione. In queste condizioni è evidente come più precise valutazioni si possano condurre solamente dopo aver esaminato la clausola contrattuale.

La legge prevede poi come il diritto al corrispettivo sorga al momento di sottoscrizione del patto, ma divenga esigibile solo alla cessazione del contratto di agenzia. Questa, letteralmente, la norma: “l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente di commerciale di una indennità di natura non provvigionale”.

Dalla piana lettura del dato normativo si riscontra che il legislatore ha qui applicato un meccanismo identico a quello utilizzato in tema di provvigioni all’art. 1748 cod. civ., prevedendo la separazione tra il momento acquisitivo del diritto -la sottoscrizione dell’accordo- ed il momento di esigibilità dell’indennità -la cessazione del contratto di agenzia.

Questo fatto comporta il non trascurabile effetto che, ricollegandosi il momento acquisitivo del diritto alla stipulazione del patto, ed essendo quindi il diritto al compenso già entrato nel patrimonio dell’agente al perfezionarsi del patto stesso, il preponente non potrà liberarsi dalla correlativa obbligazione di pagamento quando, per occasione, ritenga di non aver più interesse al rispetto del patto di non concorrenza da parte dell’agente.

Come si vede, dopo il primo comma, anche il secondo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. pone una particolare attenzione e dà rilievo al momento stipulativo del patto, così rinforzando anche sistematicamente le conclusioni più sopra raggiunte in tema di limiti di zona.

Ulteriore conseguenza della disposizione legislativa è che l’indennità dovrà essere pagata all’agente immediatamente e per intero al momento della cessazione del contratto. Si ritiene comunque che siano fatti salvi eventuali accordi individuali che consentano il pagamento dell’indennità dilazionato nel tempo di vigenza del patto. È infatti pacifico nella giurisprudenza di Cassazione che l’intera disciplina del secondo comma dell’art. 1751 bis cod. civ. sia derogabile. La deroga sarà peraltro valida a condizione che al rapporto individuale cui accede il patto di dilazione non si applichino gli AEC che contengano una norma contraria. Infatti, ad esempio, l’AEC Commercio prevede espressamente che l’indennità per il del patto di non concorrenza debba essere pagata in unica soluzione al momento della cessazione del contratto di agenzia. Tale norma dovrà quindi applicarsi in quanto condizione di miglior favore.

 

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