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07-04-2023

la tutela del whistleblowing nel lavoro privato

Il 15 marzo 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del D.lgs. 24 del 2023, in attuazione della Direttiva Europea 1937/2019 a tutela delle persone che segnalano la violazione del diritto UE e del diritto interno, c.d. fenomeno del whistleblowing.

Il D.lgs. 24 del 2023 innova profondamente la disciplina italiana previgente, dettata dalla Legge 179 del 30.11.2017 ed entrerà in vigore il 15 luglio 2023.

In questo articolo esamineremo le principali novità legislative, limitandoci al settore del lavoro privato, che risulta notevolmente impattato dal provvedimento sul whistleblowing sia in ordine: (a) alla platea dei destinatari; (b) agli oneri organizzativi imposti dalla legge; (c) alle conseguenze sulla gestione dei rapporti di lavoro. L’esame sarà dedicato principalmente agli obblighi imposti alle imprese ed alle correlate ricadute giuslavoristiche della nuova disciplina.

La legge 179 del 2017.

Come già detto, l’ordinamento italiano, già prima del D.lgs. n. 24 del 2023 conosceva una disciplina del c.d. whistleblowing anche nel settore del lavoro privato.

La disciplina era peraltro molto scarna e ridotta al dettato dell’art. 2, Legge 179 del 2017, che si riporta di seguito:

Art. 2 Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato

1. All'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:

«2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono:

a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;

b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante;

c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;

d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

2-ter. L'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall'organizzazione sindacale indicata dal medesimo.

2-quater. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché' qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. È onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.».

Come si vede, la legge del 2017 ha introdotto la tutela del whistleblowing nel settore privato con un intervento limitato, agganciato sostanzialmente all’area di intervento del D.lgs. 231/2001 sulla responsabilità penale dell’ente.

In particolare, per la particolare tecnica normativa prescelta, le limitazioni all’applicazione della disciplina di tutela del whistleblowing erano le seguenti:

a) la platea delle imprese soggette alla disciplina era limitata a quelle dotate di modelli organizzativi 231/2001.

b) gli illeciti rilevanti erano solo quelli considerati dal D.lgs 231/2001 ovvero quelli derivanti dalla violazione dei modelli stessi;

c) i soggetti tutelati erano solo quelli di cui all’art. 5, comma 1, lettere a) e b), D.lgs. 231/2001 e, quindi: rappresentanti ed amministratori dell’ente e personale dipendente;

d) le garanzie procedurali erano limitate alla necessaria predisposizione di canali di segnalazione tali da garantire la riservatezza del soggetto segnalante;

e) la tutela giuslavoristica era limitata al divieto di atti ritorsivi o discriminatori collegati direttamente o indirettamente alla segnalazione;

f) la tutela processuale era limitata alla sanzione di nullità, ed alla presunzione di ritorsività di tutti gli atti disciplinari od organizzativi adottati dal datore di lavoro dopo la segnalazione.

Come vedremo di seguito, la disciplina di nuova introduzione ha ampliato notevolmente ognuno di questi settori, imponendo ad una larga platea di imprese private obblighi che richiederanno necessari adattamenti organizzativi.

La normativa presenta inoltre una notevole complessità tecnica, dovendosi raccordare con una amplissima gamma di provvedimenti normativi nazionali e comunitari, la gran parte dei quali è indicato nell’allegato al D.lgs. 24/2023 che peraltro non esaurisce, per espressa disposizione, il novero dei possibili rinvii.

quali imprese private sono soggette alla nuova disciplina sul whistleblowing?

1. Tutte le imprese private che hanno occupato, nell’ultimo anno, la media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato.

2. Le imprese private che, anche se non raggiungono il limite quantitativo di cui sopra, operino nei seguenti settori: servizi finanziari e dei capitali dell’UE, bancario, del credito, dell’investimento, dell’assicurazione e riassicurazione, delle pensioni professionali o dei prodotti pensionistici individuali, dei titoli, dei fondi di investimento, dei servizi di pagamento, che svolgano attività di segnalazione, analisi e monitoraggio di eventi nel settore dell’aviazione civile, compagnie di navigazione che approdino nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli stati membri UE, compagnie che conducono operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.

3. Le imprese che, diverse da quelle già indicate, anche se non rientrano nel limite quantitativo indicato, hanno adottato i modelli di organizzazione e gestione di cui al D.lgs 231/2001.

Come si vede, l’estensione soggettiva è massiva, essendo sostanzialmente agganciata o all’avere adottato i modelli organizzativi, ovvero ad operare in determinati settori reputati sensibili, oppure in relazione ad in criterio quantitativo di lavoratori subordinati occupati particolarmente basso, pari a 50 dipendenti a tempo indeterminato e determinato.

In relazione a quest’ultimo criterio, vanno fatte alcune precisazioni in relazione al criterio di computo. Per quanto attiene infatti l’imputazione dei lavoratori a tempo determinato dovrà certamente trovare applicazione l’art. 27 D.lgs. 81/2015, così come l’art. 9 D.lgs. 81/2015 per i lavoratori a tempo parziale. Anche con questi adeguamenti, però, la platea delle imprese private coinvolte nell’applicazione della nuova normativa risulta notevolmente ampliato.

quali sono gli illeciti rilevanti per la nuova disciplina sul whistleblowing?

Questo è certamente uno dei tratti della nuova disciplina che dovrà beneficiare maggiormente dell’opera di interpretazione anche perché è su questo terreno che, in concreto, si potrà operare una effettiva selezione delle imprese obbligate. Infatti, se il criterio numerico indicato al paragrafo precedente depone per una estensione massima della disciplina sul whistleblowing, la determinazione degli illeciti rilevanti consente di escludere numerosi soggetti dall’ambito della sua applicazione.

Ci si limiterà in questa sede ad offrire solamente alcune indicazioni, anche perché una trattazione specifica del problema esula dall’economia del presente lavoro. Le norme che disciplinano la materia sono l’art. 1 e 2 del D.lgs. 24 del 2023.

L’art. 1, così dispone: “il presente decreto disciplina la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali e dell’UE che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato”.

Precisato che la locuzione “violazioni” che va intesa nel senso convenzionale chiarito dall’art. 2, comma 1, del D.lgs. 24/2023, il primo problema che si pone, dalla limitata prospettiva di questo lavoro dedicato all’ente privato, è quello di capire cosa si debba intendere per violazioni che ledono "l'interesse pubblico o l'integrità dell’ente privato”. Come si vede, infatti, se la locuzione “l’interesse pubblico o l’integrità” è perfettamente intelligibile per l’amministrazione pubblica, non ugualmente chiara risulta se riferita all’ente privato. Quest’ultimo, per definizione, non è portatore di un interesse pubblico, sicché le alternative interpretative sono due: o rileggere la norma come “violazioni di disposizioni normative nazionali e dell’UE che ledono l’integrità dell’ente privato”, il che lascia peraltro aperto il problema di definire cosa intenda il legislatore per “integrità” dell’ente privato; oppure fare riferimento ad un concetto di “interesse pubblico” più generale, che possa ricomprendere anche l’ente privato. Sebbene contrario alla tradizione interpretativa domestica, è questa seconda opzione che sembra preferibile, come desumibile dal considerando n. (1) della Direttiva 1937/2019, laddove si legge: “chi lavora per un’organizzazione pubblica o privata o è in contatto con essa nello svolgimento della propria attività professionale è spesso la prima persona a venire a conoscenza di minacce o pregiudizi al pubblico interesse sorti in tale ambito. Nel segnalare violazioni del diritto unionali che ledono il pubblico interesse, tali persone svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società”.  

Poco cambierebbe peraltro anche se si volesse accedere alla prima opzione interpretativa, con l’unica differenza che tutto il peso della soluzione graverebbe sul concetto di “integrità dell’ente privato”. Questa integrità deve intendersi non nel senso materiale, di presenza o coerenza di tutti gli elementi che compongono l’ente, ma bensì nel senso figurato di incorruzione, onestà, lealtà alle regole. È infatti chiaro che ben potrebbero darsi casi di enti privati che in assoluta consapevolezza, nel perseguimento del proprio interesse privato, violino sistematicamente disposizioni normative nazionali ed eurounitarie alla ricerca di un utile. Nel senso materiale, quindi, detti enti potrebbero benissimo dirsi integri. Solo che una tale interpretazione confligge direttamente con lo scopo della Direttiva 1937/2019 e pertanto deve essere scartata. Integrità quindi non può mai essere intesa come funzionalizzazione all’interesse privato dell’ente, ma deve essere intesa come obiettivo rispetto dell’ordinamento. In questo senso, quindi, il criterio dell’integrità opera quale referente obiettivo, corrispondente a quello che assolve l’interesse pubblico in relazione all’ente pubblico. Per integrità dell’ente privato, quindi, si deve intendere la sua partecipazione leale al mercato di riferimento. In questo senso è certamente utile a confermare l’interpretazione proposta la valorizzazione dell’impostazione ordoliberista dell’Unione Europea, nonché il fatto che, in quest’ottica, la partecipazione leale al mercato -intesa come rispetto delle norme che lo regolano- assolve strumentalmente all’interesse generale del suo regolare funzionamento. Anche in questo senso può utilmente richiamarsi il già citato considerando n. (1) della Direttiva 1937/2019. Risulta implicita a tutta la costruzione di derivazione comunitaria il concetto di ordine pubblico economico che ha ormai ricevuto piena recezione anche dalla nostra giurisprudenza di legittimità (solo ad esempio, Cass. Civ. I° sez., n. 1184 del 21 gennaio 2020).

Il comma 2° dell’art. 1 D.lgs. 24/2023 elenca poi una serie di esclusioni. Il decreto a tutela del whistleblowing non si applica: alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante che attengono esclusivamente ai propri rapporti di lavoro.

Questa esclusione è quella più importante, soprattutto a fini interpretativi, perché consente di chiarire come si debba intendere “l’interesse pubblico” di cui all’art. 1, comma 1, che si definisce in negativo “dall’interesse di carattere personale della persona segnalante”. Si conferma quindi che l’interesse pubblico rilevante nella disciplina del whistleblowing non è quello concretizzato dall’ente pubblico ma è, piuttosto, quello che si potrebbe meglio definire come interesse generale al rispetto delle regole dell’ordinamento e che, quindi, può essere riferito direttamente anche alle condotte degli enti privati. In questo senso è ancora fondamentale tenere presente l’ideologia ordoliberista di matrice comunitaria, che concepisce l’ordinamento giuridico come struttura di regolamentazione della realtà economica, ai fini di massimizzazione dell’utile sociale derivante dal gioco del mercato regolato, sicché la violazione sistematica delle regole non riverbera esclusivamente i suoi effetti sui diritti dei soggetti danneggiati dalla condotta illecita ma anche, più in generale, altera l’ambiente economico e così, impinge anche l’interesse generale al regolato svolgimento delle operazioni di mercato. Del resto, che questa sia la prospettiva da cui guardare l’intera disciplina sul whistleblowing risulta evidente dalla stessa esistenza di limiti quantitativi. Non ogni violazione di legge è rilevante ma solo quella che riguarda enti di una certa dimensione che, perciò solo, sono, almeno potenzialmente, in grado di provocare distorsioni sensibili all’ordine pubblico economico.

Prospettiva questa confermata dal fatto che le “violazioni” rilevanti per gli enti privati non sono tutte quelle definite dalla lettera a) dell’art. 2, D.lgs. 24/2023, ma solo quelle ai numeri da 3) a 6). Se infatti per gli enti pubblici l’interesse generale alla massima repressione delle violazioni del loro statuto è inerente alla loro natura pubblicistica, la funzionalizzazione del whistleblowing alla tutela dell’interesse generale, come sopra definito, per il settore privato è rilevante solo per gli specifici settori giudicati appartenere direttamente all’ordine pubblico economico europeo. Cosa che apparirà immediatamente chiara se appena si legga l’elenco del corpo normativo rilevante, che sarà dato di seguito. Emerge quindi come la funzione precipua del whistleblowing sia quella di potenziare la vigilanza decentrata al rispetto dell’ordine pubblico economico europeo, da parte dei soggetti privati che operano in esso, attivando e tutelando i soggetti che in ragione del loro lavoro si trovino in maggiore prossimità con le informazioni inerenti alle violazioni.

Gli illeciti rilevanti per il settore privato sono quindi i seguenti (art. 3, comma 2, D.lgs. 24/2023, letto in correlazione all’art. 2, lettera a):

in via generale, illeciti che costituiscono violazioni delle norme europee o nazionali di derivazione europea che regolamentino i seguenti settori: (1) appalti pubblici; (2) servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; (3) sicurezza e conformità dei prodotti; (4) sicurezza dei trasporti; (5) tutela dell’ambiente; (6) radioprotezione e sicurezza nucleare; (7) sicurezza degli alimenti e dei mangimi e benessere degli animali; (8) salute pubblica; (9) protezione dei consumatori; (10) tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;

(11) atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari della UE;

(12) atti od omissioni contro la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nello spazio economico comune europeo, comprese le violazioni delle norme UE sulla concorrenza, aiuti di Stato, imposta sulle società, quest’ultima declinata anche in ottica di abuso del diritto, inteso come meccanismo il cui fine è quello di ottenere un vantaggio fiscale che vanifica l’oggetto o la finalità della normativa applicabile in matria di imposta sulle società;

(13) atti o comportamenti che vanificano l’oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell’Unione nei settori indicati sopra (n. da 1 a 12).

In questa sede non è possibile espandere oltre l’analisi delle concrete fattispecie rilevanti, perché ciascuno dei settori di applicazione del whistleblowing costituisce un corpo regolamentare di notevoli dimensioni che meriterebbe uno specifico approfondimento.

chi sono le persone protette in caso di segnalazione di illecito?

I soggetti tutelati dalla normativa sul whistleblowing in caso di segnalazione sono: (1) i lavoratori subordinati; (2) i lavoratori autonomi, intesi come prestatori d’opera, professionisti intellettuali, agenti di commercio, collaboratori coordinati e continuativi anche etero organizzati dal committente; (3) i volontari ed i tirocinanti; che lavorino (n. 1, 2 e 3) direttamente alle dipendenze degli enti privati ovvero che vengano in contatto con questi anche nell’ambito di appalti d’opera o di servizi o per la fornitura di beni; (4) gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche di fatto, presso gli enti privati.

Sono altresì protetti: (5) i facilitatori, definiti come le persone fisiche che assistono il segnalatore nel processo di segnalazione e che opera nel medesimo contesto lavorativo; (6) le persone fisiche che appartengono al medesimo contesto lavorativo del segnalante e che sono legate a questo da uno stabile legame affettivo ovvero da un legame di parentela fino al quarto grado; (7) ai colleghi della persona segnalante che operano nel medesimo contesto lavorativo e che hanno con il segnalante un rapporto abituale e corrente.

cosa devono fare gli enti privati per adeguarsi alla disciplina sul whistleblowing?

Gli enti privati, previa consultazione con le rappresentanze o le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, devono attivare i propri canali di segnalazione.

In particolare, i canali di segnalazione devono garantire, anche attraverso la crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e, comunque, di tutte le persone menzionate nella segnalazione, così come la riservatezza del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione.

I canali di segnalazione devono essere affidati: (1) ad una persona o ad un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato per la gestione del canale di segnalazione; oppure (2) ad un soggetto esterno, autonomo e con personale specificamente formato.

Questo adempimento è particolarmente rilevante perché in caso di sua omissione, vale a dire per il caso in cui non risultino predisposti i canali di comunicazione per l’inoltro delle segnalazioni, la persona segnalante potrà accedere ai canali di segnalazione esterna, gestiti da una apposita struttura da costituirsi presso l’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione.

È quindi chiaro che la tempestiva ed effettiva predisposizione dei canali di comunicazione interna, nonché il loro effettivo presidio da parte di strutture, interne od esterne, consenta di mantenere la segnalazione all’interno della struttura organizzativa dell’ente privato, al fine di una loro gestione, prima che le eventuali segnalazioni possano e debbano essere inoltrate alla pubblica autorità (c.d. segnalazioni esterne) ovvero addirittura alla generalità del pubblico (c.d. divulgazione pubblica). La stessa struttura della disposizione in esame testimonia dell’intenzione del legislatore di incentivare l’ente privato ad una effettiva ed attiva gestione dei canali di comunicazione, per preservare il proprio interesse ad una gestione interna della vicenda oggetto di segnalazione prima che la stessa possa essere divulgata all’esterno.

La mancata predisposizione dei canali di comunicazione, così come il mancato effettivo presidio degli stessi è punita con la sanzione amministrativa da € 10.000,00 ad € 50.000,00.

qual è la protezione riservata alla persona segnalante – c.d. whistleblower?

Al whistleblower è riservata una ampia gamma di tutele legali, volte evidentemente a favorire l’emergere delle segnalazioni.

Queste tutele si possono riassumere come segue: (1) diritto alla riservatezza sull’identità del segnalante; (2) irrilevanza dei motivi che hanno indotto la persona a segnalare; (3) divieto di ritorsioni contro la persona segnalante; (4) predisposizione di misure di protezione contro le ritorsioni; (5) limitazione della responsabilità civile della persona segnalante.

Vediamo più in dettaglio le singole misure di protezione.

diritto alla riservatezza

l’identità della persona segnalante e qualsiasi altra informazione da cui può evincersi, direttamene o indirettamente, tale identità non possono essere rivelate a persone diverse da quelle competenti a ricevere o dare seguito alla segnalazione, senza il consenso espresso della persona segnalante.

Nel caso dalla segnalazione dovesse derivare un procedimento penale, l’identità della persona segnalante risulta protetta dal segreto per tutta la fase di indagine secondo quanto previsto dall’art. 329 del codice di procedura penale.

Nel procedimento davanti alla Corte dei Conti l’identità della persona segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria.

Nel procedimento disciplinare a carico delle persone indicate e menzionate nella segnalazione, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Nel caso invece la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità. Come si vede, in questa ipotesi, che è quella che si può ipotizzare sia quella di più frequente manifestazione nell’ambito degli enti privati, la stessa utilizzabilità ai fini disciplinari della segnalazione è rimessa integralmente alla volontà del segnalante, nel senso che questi, ove preferisca rimanere anonimo, può addirittura paralizzare l’iniziativa disciplinare del datore di lavoro a carico del responsabile della condotta segnalata.

irrilevanza dei motivi

la legge dispone espressamente (art. 16, comma 2°, D.lgs. 24/2023) che: “i motivi che hanno indotto la persona a segnalare o denunciare o divulgare pubblicamente sono irrilevanti ai fini della sua protezione”.

Questo dimostra una idonea consapevolezza del legislatore dei meccanismi concreti che possono indurre il lavoratore alla segnalazione. È infatti assai probabile che le segnalazioni vengano o possano essere effettuate in occasione o in prossimità del licenziamento, del trasferimento o di altre modificazioni del rapporto di lavoro del segnalante o, in ogni caso, in occasione di un deterioramento della relazione professionale tra l’ente privato ed il lavoratore segnalante. Può infatti accadere, anzi, è molto probabile che accada, che il lavoratore sia indotto alla segnalazione al fine strumentale di beneficiare della protezione contro gli atti organizzativi del datore di lavoro. Quest’ordine di valutazioni resta del tutto estraneo all’applicazione della protezione al lavoratore che opera oggettivamente al ricorrente delle condizioni di cui all’art. 16, comma 1°, D.lgs. 24/2023, che sono le seguenti: (1) al momento della segnalazione la persona segnalante aveva fondato motivo di ritenere che le informazioni sulle violazioni segnalate fossero vere e rientrassero nell’ambito di applicazione della legge sul whistleblowing; (2) la segnalazione sia stata fatta nel rispetto delle procedure di legge.

divieto di ritorsioni e tutela contro i licenziamenti

La legge prevede un divieto assoluto di ritorsione a danno dei lavoratori segnalanti.

In particolare, la protezione si specifica in particolari disposizioni di tutela:

(1) nell’ambito di controversi giudiziali o stragiudiziali sull’accertamento delle condotte ritorsive, queste si presumono adottate in ragione della segnalazione, salvo la prova contraria a carico di chi le ha poste in essere. La legge esemplifica alcune di queste condotte, che si presumono ritorsive: (a) il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti; (b) la retrocessione di grado o la mancata promozione; (c) il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro; (d) la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa; (e) le note di merito negative o le referenze negative; (f) l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria; (g) la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo; (h) la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole; (i) la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione; (l) il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine; (m) i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi; (n) l’inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l’impossibilità per la persona di trovare una occupazione nel settore o nell’industria in futuro; (o) la conclusione anticipata o l’annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi; (p) l’annullamento di una licenza o di un permesso; (q) la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

(2) Nel caso di domanda risarcitoria presentata dalla persona segnalante, se questi dimostra di avere effettuato una segnalazione e di avere subito un danno, si presume, salvo prova contraria, che il danno sia conseguenza di tale segnalazione.

(3) Tutti gli atti assunti in violazione del divieto di ritorsione sono nulli. I licenziamenti delle persone che hanno effettuato la segnalazione sono nulli, e danno diritto alla reintegrazione. Questo aspetto è particolarmente rilevante. Infatti, se è vero che la disciplina dell’onere della prova di cui alla legge sul whistleblowing non innova minimamente in materia di licenziamento visto che, sia in forza del principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ., che dell’art. 5 legge 604/1966 l’onere di provare la legittimità del licenziamento spetta comunque al datore di lavoro, sono invece profondamente innovate, in favore del lavoratore, le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere della prova. Infatti, a seguito delle riforme della disciplina del licenziamento del 2012 (c.d. riforma Fornero) e del 2015 (c.d. Jobs Act) attualmente la tutela reintegratoria è assolutamente marginale, risolvendosi la gran parte delle controversie che accertino l’illegittimità del licenziamento nella conferma della risoluzione del contratto di lavoro e la condanna del datore di lavoro ad un risarcimento economico in favore del lavoratore. Nel caso di licenziamento intimato al soggetto segnalante, invece, il mancato assolvimento da parte del datore di lavoro dell’onere probatorio a suo carico sulla legittimità del licenziamento comporterà, sempre e comunque, in forza della presunzione relativa disposta dalla legge, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Il comma 3 dell’art. 19 D.lgs. 24/2023 dispone infatti che: “le persone segnalanti che siano state licenziate a causa della segnalazione hanno diritto a essere reintegrate nel posto di lavoro, ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 o dell’art. 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015 2015, n. 23, in ragione della specifica disciplina applicabile al lavoratore”.

limitazione della responsabilità civile

Ad ulteriore tutela della persona segnalante, la legge dispone una limitazione della responsabilità civile.

L’art. 20 del D.lgs. 24/2023 prevede infatti: “non è punibile la persona segnalante che riveli o diffonda informazioni sulle violazioni coperte dall’obbligo di segreto, o relative alla tutela del diritto d’autore o della protezione dei dati personali ovvero che riveli o diffonda informazioni sulle violazioni che offendano la reputazione della persona coinvolta o denunciata, quando, al momento della rivelazione o diffusione, vi fossero fondati motivi per ritenere che la rivelazione o diffusione delle stesse informazioni fosse necessaria per svelare la violazione e la segnalazione è stata effettuata ai sensi dell’art. 16 (se sussistano cioè le condizioni per la protezione della persona segnalante, vedi sopra – irrilevanza dei motivi).

Quando ricorrono le ipotesi di cui sopra, è esclusa altresì ogni ulteriore responsabilità, anche di natura civile o amministrativa.

Salvo che il fatto costituisca reato, la persona segnalante non incorre in alcuna responsabilità, anche di natura civile o amministrativa, per l’acquisizione delle informazioni sulla violazione o sull’accesso alle stesse.

Come si vede, con il solo limite della violazione della legge penale, la condotta di segnalazione, così come la condotta ad essa strumentale di accesso e, deve ritenersi, di duplicazione delle informazioni e documenti necessarie a fondare la segnalazione scrimina qualsiasi responsabilità, civile ed amministrativa, imputabile alla persona segnalante. Occorre da subito apprezzare la eccezionale specialità di questa disposizione, che deroga al regime comune della responsabilità civile e della responsabilità amministrativa, autorizzando la persona segnalante a violare obblighi contrattuali assunti e finanche a scriminare condotte che sarebbero passibili di sanzione amministrativa.

Va però precisato che l’esonero della responsabilità del segnalante non è assoluta, ma è riconosciuta solo nella misura in cui sia strettamente strumentale alla segnalazione.

L’ultimo comma dell’art. 20 dispone infatti: “in ogni caso, la responsabilità penale e ogni altra responsabilità, anche di natura civile o amministrativa, non è esclusa per i comportamenti, gli atti o le omissioni non collegati alla segnalazione o che non sono strettamente necessari a rivelare la violazione”.

Per questa ragione è determinante che la persona segnalante possa accedere ad un idoneo supporto legale, che la legge infatti predispone e di cui si tratta al punto successivo.

ulteriori misure di sostegno alla persona segnalante

La legge prevede che presso l’ANAC sia istituito un elenco di enti del Terzo Settore che svolgono le attività di sostegno della legalità e della promozione dei diritti. Tale elenco è pubblicato sul sito di ANAC. Gli enti ivi inclusi forniscono informazioni, assistenza e consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione, sulla protezione dalle ritorsioni, sui diritti delle persone coinvolte nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Inoltre, le persone segnalanti possono comunicare all’ANAC le ritorsioni che ritengono di aver subito. In caso di ritorsioni commesse nel contesto lavorativo di un soggetto del settore privato l’ANAC informa l’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza. Tali provvedimenti sono, sostanzialmente, quelli strumentali all’acquisizione degli elementi istruttori indispensabili all’accertamento delle ritorsioni ai fini dell’irrogazione delle sanzioni amministrative.

Infatti, l’adozione di atti ritorsivi è punita con la sanzione amministrativa da € 10.000,00 ad € 50.000,00 così come, con la stessa sanzione, è punito anche il soggetto che abbia omesso di istituire i canali di segnalazione, che abbia omesso di adottare le procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero che abbia omesso l’attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.

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